domenica, agosto 10, 2025

congedo

Ecco: mi piacerebbe, terminando, d'essere nella luce.

Di solito la fine della vita temporale,

se non è oscurata da infermità, ha una sua fosca chiarezza:

quella delle memorie, così belle, così attraenti, così nostalgiche,

e così chiare ormai per denunciare il loro passato irricuperabile

e per irridere al loro disperato richiamo.

Vi è la luce che svela la delusione d'una vita

fondata su beni effimeri e su speranze fallaci.

Vi è quella di oscuri e ormai inefficaci rimorsi.

Vi è quella della saggezza che finalmente intravede la vanità delle cose

e il valore delle virtù che dovevano caratterizzare il corso della vita:

vanitas vanitatum. Vanità della vanità.

Quanto a me vorrei avere finalmente

una nozione riassuntiva e sapiente sul mondo e sulla vita:

penso che tale nozione dovrebbe esprimersi in riconoscenza:

tutto era dono, tutto era grazia;

e com'era bello il panorama attraverso il quale si è passati;

troppo bello, tanto che ci si è lasciati attrarre e incantare,

mentre doveva apparire segno e invito.

Ma, in ogni modo, sembra che il congedo

debba esprimersi in un grande e semplice atto di riconoscenza,

anzi di gratitudine: questa vita mortale è, nonostante i suoi travagli,

i suoi oscuri misteri, le sue sofferenze, la sua fatale caducità,

un fatto bellissimo, un prodigio sempre originale e commovente;

un avvenimento degno d'essere cantato in gaudio, e in gloria:

la vita, la vita dell'uomo!


Giovanni Battista Montini, Paolo VI

(L'Osservatore romano, 9 agosto 1979)

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