giovedì, aprile 30, 2009

Digiuno

Fa' digiunare il nostro cuore:
che sappia rinunciare a tutto quello che l'allontana
dal tuo amore, Signore, e che si unisca a te
più esclusivamente e più sinceramente.

Fa' digiunare il nostro orgoglio,
tutte le nostre pretese, le nostre rivendicazioni,
rendendoci più umili e infondendo in noi
come unica ambizione, quella di servirti.

Fa' digiunare le nostre passioni,
la nostra fame di piacere,
la nostra sete di ricchezza,
il possesso avido e l'azione violenta;
che nostro solo desiderio sia di piacerti in tutto.

Fa' digiunare il nostro io,
troppo centrato su se stesso, egoista indurito,
che vuol trarre solo il suo vantaggio:
che sappia dimenticarsi, nascondersi, donarsi.

Fa' digiunare la nostra lingua,
spesso troppo agitata, troppo rapida nelle sue repliche,
severa nei giudizi, offensiva o sprezzante:
fa' che esprima solo stima e bontà.

Che il digiuno dell'anima,
con tutti i nostri sforzi per migliorarci,
possa salire verso di te come offerta gradita,
meritarci una gioia più pura, più profonda.

 

Jean Galot, Ritorno alla sorgente

giovedì, aprile 23, 2009

I potenti e il popolo

Una volta, i potenti,

per sottomettere il popolo

usavano la forza, le leggi e la religione;

ora dispongono anche del calcio e della televisione
Brown Carl William

mercoledì, aprile 22, 2009

Minoranza

La condizione di minoranza è favorevole al cristianesimo: purché questa minoranza conosca i Vangeli, san Paolo, Pascal, e sappia irradiare il mondo con la luce delle loro parole. Così credo che la descrizione della civiltà italiana, cara a una parte della gerarchia ecclesiastica, sia sbagliata. Oggi il cattolicesimo non è una cittadella esausta, gettata in un angolo, perseguitata, ignorata, dimenticata, disprezzata, che deve rinchiudersi in sé stessa e difendersi. E tantomeno ha bisogno di piegarsi, impallidire, rinunciare alla propria storia, diventando una specie di morale pratica, utile alla società e agli stati. Il cristianesimo deve restare ciò che è sempre stato nei suoi periodi gloriosi: vastissimo, molteplice, duro e inflessibile, come erano san Paolo e Pascal.        Piero Citati, "la Repubblica" 11 aprile 2007. 

venerdì, aprile 17, 2009

La speranza

Ci sono giornate in cui ci si mette tutto di traverso. Non te ne va bene una. Disperato, ti rifugi nell'oroscopo, e così aumenta l'illusione e a tempo giusto la depressione. Ma ci sono giornate, e sono le peggiori, in cui sei tu che ha il sempre una scusa pronta di fronte a tutto e a tutti, perché vuoi stare nella tua comodità. Fingi di cercare qualcosa che vale per la tua vita, ma applichi a tutto ciò che ti mettono davanti e a tutti i risultati delle tue ricerche un netto rifiuto. Esiste un torpore della vita, un egoismo camuffato da serietà, un immobilismo conservatore delle proprie posizioni e dei propri privilegi, che sa spegnere ogni entusiasmo. Mi immagino un papà di fronte a un figlio: non c'è nessuna proposta che lo smuove, ma mi immagino anche un giovane di fronte a qualche prospettiva di lasciare il branco, di prendersi in mano la vita, di darle una svolta di autenticità; niente: il mio pub, la mia latta con cui scarrozzo per tutti i centri commerciali i miei amici, le mie abitudini piccole, piccole. Io sto bene così. A Gesù capitava spesso di trovarsi di fronte a muri di gomma, a gente incapace di spostarsi di una virgola, incapace di dare slancio alla propria vita. Prima di lui calcava la scena Giovanni, un fustigatore di costumi, un uomo rude, scomodo, provocatore. Figurati se io mi lascio incantare da questo spiritato! Non fa 'l fanatico. Arriva Gesù: la dolcezza in persona, l'uomo di compagnia che non crea distanze nè col buono né col delinquente. "Per chi mi hai preso? per un sentimentale? ci vuole altro per me nella vita! E anche di fronte a Gesù ha trovato la scusa per farsi sempre e solo i fatti suoi. E rimani solo nel tuo brodo, nelle tue false sicurezze, nella tua mediocrità felice e la vita ti si spegne ora lentamente, ora in fretta come una sigaretta che fumi sulla porta di casa. Decidi una vita senza speranza. Chi invece è capace di scegliere viene subito sostenuto da quello che fa. La speranza non è mai senza concretezza, i fatti la dimostrano. Ma dove la trovo?  

Domenico Sigalini vescovo

giovedì, aprile 16, 2009

Malattia

Nel mondo occidentale, l'uomo è così assillato e preso da mille preoccupazioni, che l'unica maniera che ha per riflettere e meditare è quella di ammalarsi.

mercoledì, aprile 15, 2009

L'esempio

Posso dire a mio figlio o al ragazzino del mio gruppo catechistico di non ubriacarsi mai perché l'alcol fa male, ma se mi faccio vedere ubriaco avrò insegnato efficacemente due cose: che gli adulti mentono o non credono a quello che vanno dicendo (il che è peggio) e che ubriacarsi non è poi quella gran brutta cosa che si dice. Ma se sull'ubriacarsi tutti possono essere facilmente d'accordo, su altre faccende quotidiane le cose si fanno più difficili: essere cortesi, avere una disciplina mentale, avere un progetto nella vita, credere in qualche cosa, essere disponibili, avere fiducia in sé e negli altri, non fermarsi davanti all'errore, alla difficoltà e alla fatica… Tutte cose che riempiono i progetti studiati per i nostri ragazzi, ma che occorre saper collocare prima, molto prima, nel progetto del proprio essere. Giovanni Cappello  - "Quaderni Cannibali" Ottobre 2007

martedì, aprile 14, 2009

Piccole risurrezioni quotidiane

La Risurrezione di Cristo fu un evento talmente inaudito per i discepoli che per tentare di raccontarla non trovarono un'unica parola specifica, ma adottarono le parole derivate dai verbi 'svegliarsi' e 'alzarsi'. Sono i verbi del mattino, di ognuno dei nostri mattini, quando ci svegliamo e ci alziamo e il primo passo è un passo nel mistero: sono le nostre piccole risurrezioni quotidiane. I nostri mattini di pendolari, il mattino dell'uomo ha prestato agli evangelisti un vocabolario limpido e concreto per dire l'indicibile.

 E questo significa forse che ad ogni mattino ci è dato di percepire qualcosa del mistero, respirare Cristo risorto, incontrare qualcosa della risurrezione là, in ogni umile aurora, quando mi si rivela la sorprendente freschezza della vita, quando inizia qualcosa di nuovo, quando Lui mi aiuta ad avanzare senza disperare, a vivere una vita non addormentata. E mi precede su vie di pace.        Teologo Borèl

venerdì, aprile 10, 2009

La croce, albero di vita

C'era in mezzo al paradiso un albero. Il serpente se ne servì per imbrogliare i nostri progenitori. Notate questa cosa stupenda: per ingannare l'uomo, il serpente ricorre a un sentimento inerente alla natura dell'uomo. Plasmando l'uomo infatti, il Signore aveva messo in lui, oltre a una conoscenza generale dell'universo, il desiderio di Dio. Appena il serpente ebbe scoperto questo desiderio ardente, disse all'uomo: "Diventerete come Dio (Gen 3,5). Ora siete soltanto uomini e non potete essere sempre con Dio; ma se diventerete come Dio, sarete sempre con lui..." Così, il desiderio di essere pari a Dio sedusse la donna..., che mangiò e invitò l'uomo a fare lo stesso... Ora, dopo la colpa, "Adamo udì il Signore che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno" (Gen 3,8). Benedetto sia il Dio dei santi per aver visitato Adamo verso sera! E per visitarlo ancora adesso verso sera, sulla croce.
Infatti, proprio nell'ora in cui Adamo aveva appena mangiato, il Signore soffrì la sua passione, in queste ore segnate dalla colpa e dal giudizio, cioè tra la sesta e la nona ora. Alla sesta ora, Adamo mangiò, secondo la legge della natura; poi si nascose. E verso sera, Dio venne a lui.
Adamo aveva desiderato divenire Dio, aveva desiderato una cosa impossibile. Cristo ha adempiuto questo desiderio. "Hai voluto divenire – disse - ciò che non potevi essere; ma io, desidero divenire uomo, e lo posso. Dio fa tutto il contrario di ciò che hai fatto lasciandoti sedurre. Hai desiderato ciò che era al di sopra di te; prendo io ciò che è al di sotto di me. Hai desiderato essere alla pari con Dio; voglio io divenire alla  pari con l'uomo... Hai desiderato divenire Dio e non ci sei riuscito. Io mi faccio uomo per rendere possibile ciò che era impossibile." Sì, proprio per questo Dio è venuto. Di questo testimonia ai suoi discepoli: "Ho desiderato ardentemente mangiare questa pasqua con voi" (Lc 22,15)... Egli è sceso verso sera e ha detto: "Adamo, dove sei?" (Gen 3,9). Colui che è venuto per soffrire è lo stesso di colui che è sceso nel paradiso.
Severio di Gabala (?-circa 408), vescovo in Siria "Discorso sulla creazione del mondo", 6, 5-6

giovedì, aprile 09, 2009

I soliti fessi

Signore,

noi siamo i soliti fessi.

Quelli che "al dunque" non si tirano mai indietro.

Quelli che non sanno mai trovare la scusa per dire "non sono potuto venire".

Quelli che dicono "ormai ci siamo impegnati, non possiamo più tirarci indietro".

Quelli che si ritrovano "sempre gli stessi" a lavorare, a sgobbare.

Quelli che devono inghiottire bocconi perché gli altri,

oltre a non lavorare, ti prendono anche in giro.

Signore… è duro.

Siamo sempre in tanti ad avere idee, a progettare, a programmare.

Ma poi, a lavorare, chi scappa di qua, chi fugge di la, chi non può, chi non si ricorda…

E noi siamo i "soliti fessi".

Ci arrabbiamo, diciamo che questa è l'ultima volta…

che non ci cascheremo più.

Ma sappiamo che non è vero…

noi non siamo soli.

Ci sei Tu.

Tu non hai mai tagliato la corda.

Aiutaci a stare in tua compagnia.

Anche Tu ci sei sempre.

Tonino Lasconi

mercoledì, aprile 08, 2009

Non mi piacciono

Non mi piacciono i beati
quelli che credono di essere della grazia
perché non hanno forza per essere della natura.
Quelli che credono di essere nell'eterno
perché non hanno il coraggio di essere nel tempo.
Quelli che credono di essere con Dio
perché non stanno con le persone.
Quelli che credono di amare Dio
perché non amano nessuno.

Charles Peguy

domenica, aprile 05, 2009

Non temete

Come comunità di fede lavoriamo inten­samente, ma la carenza di risultati non ci distrugge. E come comunità di fede ci rammentiamo costantemente a vicenda che formiamo una compagnia di deboli, la cui debolezza è palese a colui che ci parla nei luoghi deserti della nostra esistenza, e ci dice: Non temete, io vi accetto.

H.J.M. Nouwen, "Meditazioni sulla vita cristiana", Queriniana, Brescia 1998

venerdì, aprile 03, 2009

Poveri non si nasce, si diventa.

L'educazione alla povertà è un mestiere difficile: per chi lo insegna e per chi lo impara. Forse per questo il Maestro ha voluto riservare ai poveri la prima beatitudine. Non è vero che si nasce poveri. Si può nascere poeti, ma non poveri. Poveri si diventa. Come si diventa avvocati, tecnici, preti. Dopo una trafila di studi, cioè. Dopo lunghe fatiche ed estenuanti esercizi. Questa della povertà, insomma, è una carriera. E per giunta tra le più complesse. Suppone un noviziato severo. Richiede un tirocinio difficile. Tanto difficile, che il Signore Gesù si è voluto riservare direttamente l'insegnamento di questa disciplina.
Nella seconda lettera che San Paolo scrisse ai cittadini di Corinto, al capitolo ottavo, c è un passaggio fortissimo: "Il Signore nostro Gesù Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per voi". È un testo splendido. Ha la cadenza di un diploma di laurea, conseguito a pieni voti, incorniciato con cura, e gelosamente custodito dal titolare, che se l'è portato con sé in tutte le trasferte come il documento più significativo della sua identità: "Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli il nido; ma il figlio dell'uomo non ha dove posare il capo". Se l'è portato perfino nella trasferta suprema della croce, come la più inequivocabile tessera di riconoscimento della sua persona, se è vera quella intuizione di Dante che, parlando della povertà del Maestro, afferma: "Ella con Cristo salì sulla croce".
Non c'è che dire: il Signore Gesù ha fatto una brillante carriera. E ce l'ha voluta insegnare. Perché la povertà si insegna e si apprende. Alla povertà ci si educa e ci si allena. E, a meno che uno non sia un talento naturale, l'apprendimento di essa esige regole precise, tempi molto lunghi, e, comunque, tappe ben delineate.  Don Tonino Bello

giovedì, aprile 02, 2009

Anche gli altri

Riconoscere sé stessi come individui può essere facile ma l'importante è riconoscere che sono individui anche gli altri.   Italo Calvino

mercoledì, aprile 01, 2009

Noi cristiani

Quando noi cristiani ci comportiamo male, o manchiamo di comportarci bene, rendiamo il cristianesimo non credibile agli occhi degli altri. Durante la guerra i manifesti ci ammonivano che discorsi sconsiderati costavano vite. È altrettanto vero che vite sconsiderate costano discorsi. Le nostre vite sconsiderate fanno discorrere gli altri; e noi diamo loro motivo di discorrere in un modo che getta dubbi sulla verità del cristianesimo stesso. C.S. Lewis, "Il cristianesimo così com'è", Adelphi, Milano 1997