martedì, dicembre 19, 2006

Serenità

Serenità è quella di chi,
pur soffrendo delle cose che mancano,
non smette di godere delle cose che ha.
(F. Chini)

lunedì, dicembre 18, 2006

Serenità

Serenità è quella di chi, pur soffrendo delle cose che mancano, non smette di godere delle cose che ha.   (F. Chini)

venerdì, dicembre 15, 2006

Cappa di piombo

Semplificare la nostra esistenza. Sopprimere tutto ciò che non è essenziale. Mobili, libri, carte, vestiti, riserve d'ogni genere, possono pian piano, senza che ce ne rendiamo conto, diventare attorno a noi una cappa di piombo che paralizza il nostro agire. ( Roger Schutz)

L'umanità ha bisogno di te

Se la nota dicesse:

non è una nota che fa la musica
...non ci sarebbero le sinfonie.
Se la parola dicesse:

non è una parola che può fare una pagina
...non ci sarebbero libri.
Se la pietra dicesse:

non è una pietra che può alzare un muro
...non ci sarebbero case.
Se la goccia d'acqua dicesse:

non è una goccia d'acqua che può fare un fiume
...non ci sarebbe l'oceano.
Se il chicco di grano dicesse:

non è un chicco di grano che può seminare un campo
...non ci sarebbe la messe.
Se l'uomo dicesse:

non è un gesto d'amore che può salvare l'umanità
...non ci sarebbero mai né giustizia, né dignità,
né felicità sulla terra degli uomini.
Come la sinfonia ha bisogno di ogni nota
Come il libro ha bisogno di ogni parola
Come la casa ha bisogno di ogni pietra
Come l'oceano ha bisogno di ogni goccia d'acqua
Come la messe ha bisogno di ogni chicco
l'umanità intera ha bisogno di te,
qui dove sei, unico, e perciò insostituibile.

(Michel Quoist)
 

giovedì, dicembre 14, 2006

Amare

"Non si può amare a distanza, restando fuori dalla mischia, senza sporcarsi le mani, ma soprattutto non si può amare senza condividere"   (Don Luigi Di Liegro)

 

lunedì, dicembre 11, 2006

Il fuoco

"Sarà pur bene che qualcuno lo faccia: il fuoco viene sempre acceso da un punto".

(Aldo Capitini)

venerdì, dicembre 08, 2006

È difficile credere?

Nel Duemila è difficile credere? Sì! È difficile. Non è il caso di nasconderlo. È difficile, ma con l'aiuto della Grazia è possibile. […] Quando sognate la felicità, in realtà, è Gesù che cercate; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita. […] Si, cari amici, Cristo ci ama e ci ama sempre! Ci ama anche quando lo deludiamo, non chiude mai le braccia della sua misericordia.

Giovanni Paolo II (Tor Vergata, agosto 2000, XV Giornata Mondiale della Gioventù.)

giovedì, dicembre 07, 2006

Secondo la Sua volontà

Non so se sopravviverò fino a domani, se oggi o domani vivranno o moriranno prima di me tutti coloro che io amo e coloro che mi amano; non so se sarò sano o malato, se sarò sazio o affamato, se sarò stimato o disprezzato dalla gente. So soltanto una cosa: che tutto ciò che mi accadrà e che accadrà a tutti coloro che io amo, sarà secondo la volontà di Colui che vive in tutto ciò che ci circonda e nella mia anima.
E tutto ciò che accade secondo la Sua volontà è bene.
(L. Tolstoj)

mercoledì, dicembre 06, 2006

I due Gesù

Una volta ogni cento anni Gesù di Nazareth incontra il Gesù dei Cristiani in un giardino tra le colline del Libano. E si parlano a  lungo, e ogni volta Gesù di Nazareth si allontana dicendo all'altro Gesù: " Amico mio, temo che  non andremo mai  d'accordo, noi, mai d'accordo"       Gibran

martedì, dicembre 05, 2006

Diritti e doveri

La vera fonte dei diritti sono i doveri. Se noi eliminiamo i nostri doveri è inutile che cerchiamo i nostri diritti, che si dissolveranno come il fumo.   (Mahatma Ghandi)

lunedì, dicembre 04, 2006

Dall'alto in basso

Ho imparato che un uomo ha il diritto di guardarne un altro dall'alto in basso solamente quando deve aiutarlo ad alzarsi.
(G.G. Marquez)

venerdì, dicembre 01, 2006

Shylock

Non ha occhi un giudeo?
Un giudeo non ha mani, organi, membra, sensi, affetti, passioni, non s'alimenta dello stesso cibo, non si ferisce con le stesse armi, non è soggetto agli stessi malanni, curato con le stesse medicine, estate e inverno non son caldi e freddi per un giudeo come per un cristiano? Se ci pungete, non facciamo sangue? Non moriamo se voi ci avvelenate? Dunque, se ci offendete e maltrattate, non dovremmo pensare a vendicarci? Se siamo uguali a voi per tutto il resto, vogliamo assomigliarvi pure in questo! Se un cristiano è oltraggiato da un ebreo, qual è la sua virtù di tolleranza?
L'immediata vendetta! Onde un ebreo, nel sentirsi oltraggiato da un cristiano, come può dimostrarsi tollerante se non, sul suo esempio, vendicandosi? Io non faccio che mettere a profitto la villania che m'insegnate voi; e sarà ben difficile per me rimanere al disotto dei maestri.

 

Shylock (ricco ebreo) ne "Il mercante di Venezia" di William Shakespeare (1564 – 1616)

giovedì, novembre 30, 2006

Incomincialo adesso

Fino a che uno non si compromette, c'è esitazione, possibilità di tornare indietro, e sempre inefficacia.
Rispetto ad ogni atto di iniziativa (e creazione) c'è solo una verità elementare, l'ignorarla uccide innumerevoli idee e splendidi piani.
Nel momento in cui uno si compromette definitivamente anche la provvidenza si muove.
Ogni sorta di cose accade per aiutare, cose che altrimenti non sarebbero mai accadute.
Una corrente di eventi ha inizio dalla decisione, facendo insorgere a nostro favore ogni sorta di incidenti imprevedibili, incontri e assistenza materiale, che nessuno avrebbe sognato potessero venire in questo modo.
Tutto quello che puoi fare, e sognare di poter fare, incomincialo.
Il coraggio ha in sé genio, potere e magia.
Incomincialo adesso. 
Goethe

mercoledì, novembre 29, 2006

L'abate Pelusio

Diceva l'abate di Pelusio che una vita senza parole è più vantaggiosa di
parole senza vita. C'è infatti chi trae utilità dal silenzio e
chi, gridando, disturba. Se invece parole e vita vanno insieme, realizzano
il bello di ogni filosofia.
     (detti dei padri del deserto)

martedì, novembre 28, 2006

Così tratto i miei amici

In un periodo in cui alle tribolazioni si sommavano tribolazioni, Santa Teresa d'Avila con la solita franchezza si lamentò presso il Signore che le rispose: - è così che tratto i miei amici - e lei - è per questo che ne avete così pochi -.

lunedì, novembre 27, 2006

Per un cristiano

Per un cristiano non esistono uomini estranei.

Il nostro prossimo è sempre colui

che abbiamo davanti in questo momento

e che ha bisogno di noi,

indipendentemente se ci è simpatico o no,

se è "moralmente degno" o no.

 

Edith Stein

giovedì, novembre 23, 2006

Se dividi il tuo pane

Se dividi il tuo pane con timore, 
senza fiducia, senza audacia,
il pane ti mancherà. 
Prova a dividerlo senza prevedere, 
senza calcolo, senza risparmio, 
come figlio del padrone 
di tutte le messi del mondo...

 

Helder Camara

lunedì, novembre 20, 2006

"Uciideteci ancora e sia finita!"

Primo comandamento
di tutti gli eserciti:
tu non avrai altra ragione
all'infuori della ragione
(impazzita)
di colui che ti manda.
I soldati devono solo uccidere
ed essere uccisi.
 
E poi sulla terra intera a innalzare
monumenti "Ai Caduti"!
così felici di essere caduti!
Ma provate a fissare quei corpi squarciati,
a fissare la loro smorfia ultima
sulle facce frantumate,
e quegli occhi che vi guardano.
Provate a udire nella notte
l'infinito e silenzioso urlo degli ossari:
"Uccideteci ancora e sia finita!"
(David Maria Turoldo)

venerdì, novembre 17, 2006

Profeti di un futuro non nostro

Ogni tanto ci aiuta il fare un passo indietro e vedere da lontano.
Il Regno non è solo oltre i nostri sforzi, è anche oltre le nostre visioni.
Nella nostra vita riusciamo a compiere solo una piccola parte
di quella meravigliosa impresa che è l'opera di Dio.
Niente di ciò che noi facciamo è completo.
Che è come dire che il Regno sta più in là di noi stessi.
Nessuna affermazione dice tutto quello che si può dire.
Nessuna preghiera esprime completamente la fede.
Nessun credo porta la perfezione.
Nessuna visita pastorale porta con sé tutte le soluzioni.
Nessun programma compie in pieno la missione della Chiesa.
Nessuna meta né obbiettivo raggiunge la completezza.
Di questo si tratta:
Noi piantiamo semi che un giorno nasceranno.
Noi innaffiamo semi già piantati, sapendo che altri li custodiranno.
Mettiamo le basi di qualcosa che si svilupperà.
Mettiamo il lievito che moltiplicherà le nostre capacità.
Non possiamo fare tutto,
però dà un senso di liberazione l'iniziarlo.
Ci dà la forza di fare qualcosa e di farlo bene.
Può rimanere incompleto, però è un inizio, il passo di un cammino.
Una opportunità perché la grazia di Dio entri e faccia il resto.
Può darsi che mai vedremo il suo compimento,
ma questa è la differenza tra il capomastro e il manovale.
Siamo manovali, non capomastri,
servitori, non messia.
Noi siamo profeti di un futuro che non ci appartiene.

 

(Oscar Arnulfo Romero)


giovedì, novembre 16, 2006

Se vuoi costruire...

Se vuoi costruire una nave non chiamare la gente che procura il legno, che prepara gli attrezzi necessari, non distribuire compiti, non organizzare il lavoro. Prima invece sveglia negli uomini la nostalgia del mare lontano e sconfinato.
Appena si sarà svegliata in loro questa sete, gli uomini si metteranno subito al lavoro per costruire la nave.                                               
(Antoine de Saint-Exupéry)

mercoledì, novembre 15, 2006

Carità fraterna

Quando pratichiamo una carità che si arroga il diritto di essere materna, educatrice, rettificatrice, ci disancoriamo dalla terraferma della realtà: non siamo più fratelli.

Vicino a un non credente, la carità diventa evangelizzazione, ma questa evangelizzazione non può essere che fraterna.

Noi non andiamo ad offrire di condividere generosamente quel che sarebbe nostro, e cioè Dio.

Non andiamo come giusti in mezzo a peccatori, come gente in possesso di diploma in mezzo a gente incolta; noi andiamo a parlare di un Padre comune, conosciuto dagli uni, ignorato dagli altri; come perdonati, non come innocenti; come gente che ha avuto la fortuna di essere chiamata a credere, di ricevere la fede, ma di riceverla come un bene che non è nostro, ma che è stato depositato in noi per il mondo.

 

(Da "Noi delle strade" di Madeleine Delbrel - Gribaudi Editore, Milano, 1995)

martedì, novembre 14, 2006

OGNI ISTANTE

Ogni istante che Dio ti dona è un tesoro immenso.
Non buttarlo.
Non correre sempre, alla ricerca di chissà quale domani.
Vivi meglio che puoi, pensa meglio che puoi e fai del tuo meglio oggi.
Perché l'oggi sarà presto il domani e il domani sarà presto l'eterno".
 
P. Gouthey

venerdì, novembre 10, 2006

Laicità

I cristiani non rinneghino nulla del Vangelo, ma restino in mezzo agli altri uomini con simpatia,
senza separarsi da loro, solidali, tesi a costruire insieme una città più umana.
Cristiani che sappiano vivere come amici di tutti gli uomini,
senza cadere preda dell'angoscia o della paura d'essere minoranza,
vero lievito e sale nella pasta del mondo:
così, nell'incontro del cristiano con chi cristiano non è,
entrambi potranno esclamare: "Mai l'uno senza l'altro".

(Lettera a Diogneto, II secolo – citata da Enzo Bianchi ne "La differenza cristiana" Einaudi 2006)

VOGLIO CREDERE

Non credo
al diritto dei più forti,
al linguaggio delle armi,
alla potenza dei potenti.

Voglio credere
ai diritti dell'uomo,
alla mano aperta,
alla potenza dei non-violenti.

Non credo alla razza o alla ricchezza,
ai privilegi, all'ordine della forza e dell'ingiustizia:
è un disordine.
Non credo di potermi disinteressare
a ciò che accade lontano da qui.

Voglio credere che il mondo intero
è la mia casa e il campo nel quale semino,
e che tutti mietono ciò che tutti hanno seminato.

Non credo
di poter combattere altrove l'oppressione,
se tollero l'ingiustizia qui.

Voglio credere che il diritto è uno,
tanto qui che altrove,
che non sono libero finché un solo uomo è schiavo.

Non credo che la guerra e la fame siano inevitabili
e la pace irraggiungibile.

Voglio credere all'azione semplice,
all'amore a mani nude,
alla pace sulla terra.

Non credo che ogni sofferenza sia vana.
Non credo che il sogno degli uomini resterà un sogno
e che la morte sarà la fine.

Oso credere invece, sempre e nonostante tutto,
all'uomo nuovo.
Oso credere al tuo sogno, o Dio,
un cielo nuovo, una terra nuova dove abiterà la giustizia.

 Dorothee Solle, teologa protestante


giovedì, novembre 09, 2006

DIVERSITA'

È qualcosa o qualcuno che non fanno parte del nostro mondo personale. Ma vi ruotano attorno, vicino.

La diversità può generare complementarietà, collaborazione, sussidiarietà, armonia, pace.

Chi non ha una percezione equilibrata della propria identità, di fronte alla diversità fugge o si finge indifferente.

Spesso la diversità è fonte di concorrenza, contrapposizione, avversità e guerra.

Il rispetto della diversità non annulla la verità ma – secondo il detto di S.Paolo – la costruisce nella carità.

(p. Angelo Grande OAD)

mercoledì, novembre 08, 2006

LAICITA'

I cristiani non rinneghino nulla del Vangelo, ma restino in mezzo agli altri uomini con simpatia,
senza separarsi da loro, solidali, tesi a costruire insieme una città più umana.
Cristiani che sappiano vivere come amici di tutti gli uomini,
senza cadere preda dell'angoscia o della paura d'essere minoranza,
vero lievito e sale nella pasta del mondo:
così, nell'incontro del cristiano con chi cristiano non è,
entrambi potranno esclamare: "Mai l'uno senza l'altro".

(Lettera a Diogneto, II secolo – citata da Enzo Bianchi ne "La differenza cristiana" Einaudi 2006)

martedì, novembre 07, 2006

Realizzare la propria umanità

"La realizzazione della propria umanità: questo è il solo scopo della vita che siamo chiamati ad essere, questa umanità di Dio, che è, appunto, il sogno di Dio. Ecco. Magari fosse possibile dire: sono arrivato! Ma non sono arrivato mai. E il progresso, il benessere, l'"essere bene" non sta nei possedimenti o nei libri o nelle cariche; sta in questa umanità realizzata giorno per giorno. E anzi se un giorno va male non scoraggiarsi perché la faremo andare bene oggi. Questa è la ragione della vita, tanto più la ragione del credere e del pregare".     (David Maria Turoldo)

lunedì, novembre 06, 2006

Siete lì?

Oggi fra i giovani del mondo, Gesù vive la propria passione nei giovani sofferenti, affamati, handicappati... in quel bambino che mangia un pezzo di pane, briciola dopo briciola, perché sa che, quando quel tozzo di pane sarà finito, non ce ne sarà più e avrà di nuovo fame.
Ecco una stazione della Via Crucis. Siete lì con quel bambino?
E quelle migliaia che muoiono, non solo per un tozzo di pane, ma per un po' d'amore, di considerazione...
Ecco una stazione della Via Crucis. Siete lì?
E quando i giovani cadono, come Gesù è caduto più e più volte per noi, noi siamo lì come Simone il Cireneo, a risollevarli, a prendere su di noi la croce? I barboni, gli alcolizzati, i senzatetto vi guardano. Non siate come quelli che guardano senza vedere. Guardate e vedete.
Possiamo iniziare a percorrere la Via Crucis, passo dopo passo, con gioia.
Gesù si è fatto pane della vita per noi. Abbiamo Gesù, sotto forma di pane della vita a darci forza.

 

Madre Teresa, ai giovani durante un Congresso Eucaristico

venerdì, novembre 03, 2006

SE (IF)

Se riesci a conservare il controllo quando tutti
intorno a te lo perdono e te ne fanno una colpa;
se riesci ad aver fiducia in te quando tutti
ne dubitano, ma anche a tener conto del dubbio;
se riesci ad aspettare e non stancarti di aspettare,
o se mentono a tuo riguardo, a non ricambiare in menzogne,
o se ti odiano, a non lasciarti prendere dall'odio,
e tuttavia a non sembrare troppo buono e a non parlare troppo da saggio.

Se riesci a sognare e a non fare del sogno il tuo padrone;
se riesci a pensare e a non fare del pensiero il tuo scopo;
se riesci a far fronte al Trionfo e alla Rovina
e trattare allo stesso modo questi due impostori;
se riesci a sopportare di udire la verità che hai detto
distorta da imbroglioni che ne fanno una trappola per gli ingenui,
o a contemplare le cose cui hai dedicato la vita, distrutte,
e sai umiliarti a ricostruirle con strumenti logori.

Se riesci a fare un mucchio di tutte le tue vincite
e rischiarle in un colpo solo a testa e croce,
e perdere e ricominciare di nuovo dal principio
e non dire una parola sulla perdita;
se riesci a costringere cuore, tendini e nervi
a servire al tuo scopo quando sono da tempo sfiniti,
e a resistere quando in te non resta altro
tranne la Volontà che dice loro: "Tieni duro!".

Se riesci a parlare con la folla e a conservare la tua virtù,
e a camminare con i Re senza perdere il contatto con la gente,
se non riesce a ferirti il nemico né l'amico più caro,
se tutti contano per te, ma nessuno troppo;
se riesci a occupare il minuto inesorabile
dando valore a ogni minuto che passa,
tua è la Terra e tutto ciò che è in essa,
e - quel che più conta - sei un Uomo, figlio mio!

(Rudyard Kipling)  

giovedì, novembre 02, 2006

Cristiani

I cristiani farebbero bene ad essere più cristiani.
Quello che il mondo reclama non è solo dei credenti ma dei credibili. Nell'amore.
(Abbé Pierre)

mercoledì, novembre 01, 2006

L'indifferenza

«É pericoloso vivere nel mondo non a causa di chi fa del male ma a causa di chi guarda e lascia fare» (Albert Einstein)

martedì, ottobre 31, 2006

IL PARADOSSO DELLA SCELTA

In un mondo con così tante opzioni come quello d'oggi e - ancor più - di domani, la gente finisce paradossalmente per rimanere paralizzata dalla sua stessa libertà di scelta.

(Barry Schwartz, " The Paradox of Choice")

lunedì, ottobre 30, 2006

Ho cercato

Ho cercato la mia anima,
ma la mia anima 
non l'ho potuta vedere.
Ho cercato il mio Dio,
ma il mio Dio 
non son riuscito ad afferrarlo.
Ho cercato il mio fratello,
e ho trovato tutti e tre.

F. Thompson

 

venerdì, ottobre 27, 2006

IO SONO PELLEROSSA E NON CAPISCO

Questa è la dichiarazione del Capo Indiano Seath della tribù Suwamish, più noto con il nome di Capo Seattle, all'assemblea dei capi indiani del 1854 in risposta all'offerta che il presidente degli Stati Uniti Franklin Pierce fece per acquistare una grande estensione del territorio indiano, promettendo una riserva per il popolo pellerossa.
 
 "Il Grande Capo a Washington ci manda a dire che desidera comprare la nostra terra.
Come si può comprare o vendere il cielo o il calore della terra?
È un'idea che ci stupisce. Se non ci appartengono né la freschezza dell'aria né lo scintillio dell'acqua sotto il sole, come potreste comprarcelo?
Ogni piccola parte di questa terra è sacra per il mio popolo. Ogni ago di pino, la riva sabbiosa, la bruma dei boschi, ogni insetto che nasce, il suo ronzio... è sacro nella memoria del mio popolo. La linfa che percorre gli alberi porta il ricordo del pellerossa.
I morti dell'uomo bianco si dimenticano della loro terra natale quando vanno a passeggiare tra le stelle. I nostri morti, invece, non dimenticano mai questa bella terra, perché essa è madre dell'uomo rosso. Siamo parte della terra ed essa è parte di noi. I fiori profumati sono nostri fratelli, il cervo, il cavallo, la grande aquila sono nostri fratelli. Le cime rocciose, l'odore delle praterie, il calore del corpo del puledro e l'uomo: tutti apparteniamo alla stessa famiglia.
Quando il Gran Capo di Washington ci manda a dire che desidera comprare la nostra terra, è molto quello che ci chiede.  Il Gran Capo dice che riserverà per noi un posto, dove poter vivere comodamente. Lui sarà nostro padre e noi saremo suoi figli. Per questo, stiamo considerando la sua offerta di comperare la nostra terra. Ma non sarà facile perché la terra per noi è sacra.
L'acqua scintillante che corre nei ruscelli e nei fiumi non è solo acqua: è il sangue dei nostri avi. Se noi vi vendiamo la nostra terra, voi dovreste ricordare che essa è sacra, e dovreste insegnarlo ai vostri figli, dovreste insegnare loro, che ogni immagine che si rispecchia nell'acqua dei fiumi o dei laghi parla di avvenimenti e ricordi della vita del nostro popolo. Se vi vendiamo la terra, voi dovreste insegnare ai vostri figli che i fiumi e i laghi sono nostri fratelli e che meritano l'attenzione che merita un fratello.
Sappiamo che il bianco non capisce il nostro modo di essere. Per lui un pezzo di terra è uguale ad un altro. Lui è come un estraneo che arriva nella notte, strappa alla terra quello che gli è necessario e se ne va . Non guarda alla terra come ad una sorella ma come ad un nemico. E quando l'ha conquistata l'abbandona e parte per altri destini. Lascia indietro le tombe dei suoi padri e non se ne cura. Viola la terra dei suoi figli e non se ne cura. Tratta la sua madre terra e suo fratello, il  cielo, come cose che si possono comprare, saccheggiare, vendere, come pecore o lucenti monili. Il suo appetito divorerà la terra e temo, che dietro, resterà solo il deserto.
Non so. Le nostre usanze sono diverse dalle vostre. L'immagine delle vostre città ferisce l'occhio del pellerossa, ma probabilmente perché il pellerossa è selvaggio e non capisce.
Non esiste tranquillità nelle città dei bianchi. Non c'è un posto dove si possa ascoltare il rumore delle foglie o il sussurro delle ali di un insetto. Ma forse dico questo perché sono un selvaggio e non capisco. Il rumore delle città disturba l'udito. Come sarebbe la vita dell'uomo se non potesse ascoltare il grido solitario del coyote o l'animata conversazione notturna dei rospi nello stagno? Io sono pellerossa e non capisco.
L'indiano preferisce il dolce suono del vento che slanciandosi come una freccia accarezza lo stagno e preferisce l'odore del vento bagnato dalla pioggia mattutina, o profumato dal pino pieno di pigne. L'aria è preziosa per il pellerossa, perché tutte le cose condividono lo stesso respiro. Le bestie, l'albero, l'uomo tutti respirano la stessa aria. L'uomo bianco sembra non far caso all'aria che respira come un essere agonizzante da molto tempo, è insensibile al cattivo odore che emana. Ma se noi vi vendiamo la terra, voi dovreste ricordarvi che l'aria è sacra. L'aria che ha raccolto il primo respiro del nostro antenato e ne ha raccolto anche l'ultimo. Voi dovreste mantenerla intatta e sacra perché si possa assaporare il vento purificato dal profumo dei fiori.
Se decidiamo di vendere la terra, lo faremo ad una condizione, l'uomo bianco dovrà trattare gli animali e queste terre come suoi fratelli e sue sorelle
Io sono un selvaggio e non capisco altre forme di pensiero. Ho visto migliaia di bufali imputridire nella prateria, abbandonati dai bianchi dopo averli colpiti con il fucile da un treno in corsa. Io sono un selvaggio e non capisco come il cavallo di ferro, sia più importante del bufalo che noi sacrifichiamo soltanto quando ne abbiamo bisogno per sopravvivere.
Cos'è l'uomo senza animali? Se tutti sparissero l'uomo avrebbe una gran solitudine di spirito. Perché tutto quello che accade agli animali, in seguito si ripercuote sull'uomo.
Tutti noi esseri viventi siamo mutuamente dipendenti uno dall'altro.
Noi sappiamo questo: la terra non appartiene all'uomo, è l'uomo che appartiene alla terra. Noi sappiamo che tutte le cose appartengono ad una unica famiglia. Tutto è unito. Non è l'uomo che ha ordito le trame del tessuto della vita egli è solo uno dei suoi fili. Quello che l'uomo fa a questo tessuto lo fa a se stesso.
Noi sappiamo una cosa che l'uomo bianco non sa, ma un giorno scoprirà, il vostro Dio e il nostro Dio sono lo stesso Dio.
Voi pensate che Lui sia una vostra proprietà, come per la terra, ma non è così. E non sarà così. Lui è Dio di tutti gli esseri e la sua compassione è la stessa verso il popolo pellerossa e verso l'uomo bianco.
Per Lui la terra è preziosa e recar danno alla terra è disprezzare il Creatore.
Questo destino per noi è un mistero.
Ma noi siamo selvaggi e non capiamo quando vediamo tutti i bufali sacrificati, i cavalli selvaggi domati, gli angoli dei boschi impregnati dall'odore di molti uomini, le cime delle montagne macchiate di filo spinato.
Dov'è il bosco? E' sparito! Dov'è l'aquila? Sparita!
E' la fine della vita e l'inizio della sopravvivenza."

 

Capo Seattle visse dal 1790 al 1866 nelle regioni del Nordovest, fu capo degli indiani Suwamish e Duwamish

 

lunedì, agosto 28, 2006

L' Arcivescovo di cui c'è bisogno

Sono trascorsi 17 anni dalla morte del card Giuseppe Siri. Sono passati tre vescovi, ma ancora non siamo alla vera successione. Canestri ebbe la funzione di fare decantare 42 anni di regno personale; Tettamanzi fece appena in tempo a prendere atto del1a realtà ma fu dirottato a Milano; Bertone non ha fatto in tempo a scaldare la cattedra. Gli ultimi due vennero a Genova non in risposta ai bisogni della chiesa locale, ma perché promossi cardinali e Genova ne fu lo strumento. Anche il vescovo Bagnasco viene a Genova perché ha meritato sui campi militari la medaglia al valor cardinalizio. Egli è il vero successore a Siri di cui fu allievo, consulente e beniamino. L'eredità è salva. La diocesi un po' meno.

Da quasi 60 anni (i 4 di Siri e i 17 delle tre successioni) Genova è immobile, senza programmi pastorali efficaci, con un laicato sempre più disamorato, un clero sempre più isolato, le chiese, sempre più chiuse, la cultura religiosa latitante, tranne le parate ufficiali.

Per l'ultimo convegno sul centenario della nascita di Siri, non si trovò di meglio che la testimonianza dal senatore Giulio Andreotti, cioè la personificazione dell'equivoco italiano degli ultimi 60 anni.

Si sente dire sempre più spesso che Siri fu "un grande teologo", ma non si porta lacuna prova sia della grandezza che della teologia con cui Siri aveva un approccio scolastico di stampo liceale che non superava il livello nozionistico dei manuali pronto-uso. Il Siri-pensiero, infatti, si fermò all'11 ottobre del 1962, inizio del Vaticano II, che egli considerò una iattura per la chiesa e che combatté insieme ai suoi amici, il cardinale Florit di Firenze e il cardinale Ruffini di Palermo. A Genova che fu una fucina anche laicale di preparazione conciliare (Guano, Costa, Moglia, Lercaro, Viola, ecc.) il concilio fu sequestrato e bandito. Le conseguenze tragiche sulla chiesa si vivono ancora oggi. Questo il livello teologico ereditato da Siri che ancora si vuole proporre come modello oggi anche dopo avere varcato la fatidica soglia del terzo millennio.

Le problematiche di Genova città e diocesi sono enormi a cominciare dall'integrazione interculturale ed etnica con persone di diversa cultura e religione. La città è divisa per "ghetti" di settore: latinoamericani, indiani, arabi, filippini, ecc. che a loro volta ancora sono suddivisi per nazionalità o per traffici con il rischio già in atto che diventi luogo e merce di contesa più che ambito di scambio. La chiesa locale senza un capo che coordini e tiri le fila sapendo apprezzare l'autonomia del laicato è destinata al fallimento evangelico.

Abbiamo bisogno non di un cardinale, ma di un vescovo residenziale con voto solenne di stabilità residenziale come prescrive il concilio ecumenico tridentino.

Abbiamo bisogno di un vescovo che eviti le inaugurazioni mondane, ma visiti realmente la diocesi incontrando i preti e ripristinando il dialogo con il mondo laicale, lasciandosi "sedurre" dalla loro dignità di persone adulte: un vescovo lungimirante e non un pompiere che spegne preventivamente ogni anelito di novità.

Abbiamo bisogno di un vescovo che tutte le settimane dia appuntamento a preti e laici in cattedrale per pregare, non altro che pregare in silenzio; che si dedichi alla formazione del clero, che sappia incontrarsi come persona prima ancora che come vescovo, senza pregiudizi e senza lasciarsi condizionare dall'ambiente clericale che per natura tende a costruire cortine d'incenso; di un vescovo coraggioso che, partendo dalla constatazione che l'età media del clero è di circa 65 anni, sappia proporre scelte che aprano ai tempi futuri senza adattarsi al culto dei tempi passati.

Abbiamo bisogno di un vescovo che ascolti e conceda la buona fede, che abbia rispetto delle donne di cui voglia ascoltarne l'afflato dell'intelligenza e del cuore contrastando una mentalità sempre più maschilista, che parli più con la sua paternità che con la sua autorità, ben sapendo che l'autorevolezza non nasce dalla carica, ma dalla statura morale e spirituale del cuore.

Abbiamo bisogno di un vescovo che sappia porsi come interlocutore della "politica" senza compromessi, ma nella libertà della sua profezia e nel rispetto della politica e dei cristiani impegnati a gestire la "res pubblica" secondo coscienza.

Abbiamo bisogno di un vescovo che scelga i suoi più stretti collaboratori non per cooptazione, ma tra chi può aiutarlo ad un confronto nella diversità: se si circonderà dei suoi fedelissimi, resterà prigioniero di camarille e maldicenze e non sarà mai il vescovo in cerca dello Spirito disseminato nella sua diocesi.

Abbiamo bisogno di un vescovo profeta di Dio e servo del suo popolo non di un cardinale padrone o primadonna.

 

Silvana Caselli, Angelo Cifatte   (a nome di un gruppo di riflessione di 150 cattolici)

 

Il Lavoro-La Repubblica – 26 agosto 2006

venerdì, luglio 14, 2006

Mettiti sempre nei panni degli altri

Forse Dio vuole che incontriamo un po' di gente sbagliata
prima di incontrare quella giusta,
così quando finalmente la incontreremo,
sapremo come essere riconoscenti per quel regalo.
Quando la porta della felicità si chiude, un'altra si apre,
ma tante volte guardiamo così a lungo quella chiusa,
che non vediamo quella che è stata aperta per noi.
La miglior specie di amico è quel tipo con cui puoi stare
seduto in un portico e camminarci insieme, senza dire una parola,
e quando vai via senti come se fosse stata la miglior conversazione mai avuta.
E' vero che non conosciamo ciò che abbiamo prima di perderlo,
ma è anche vero che non sappiamo ciò che ci è mancato prima che arrivi.
Dare a qualcuno tutto il tuo amore non è un'assicurazione che sarai amato a tua volta!
Non ti aspettare amore indietro, aspetta solo che cresca nei loro cuori,
ma se non succede accontentati che cresca nel tuo.
Ci vuole un minuto per offendere qualcuno, un'ora per piacergli, e un giorno per amarlo, ma ci vuole una vita per dimenticarlo.
Non cercare le apparenze, possono ingannare.
Non cercare la salute, anche quella può affievolirsi.
Cerca qualcuno che ti faccia sorridere
perché ci vuole solo un sorriso per far sembrare brillante una giornataccia.
Trova quello che fa sorridere il tuo cuore.
Ci sono momenti nella vita in cui qualcuno ti manca così tanto
che vorresti proprio tirarlo fuori dai tuoi sogni per abbracciarlo davvero!
Sogna ciò che ti va, vai dove vuoi, sii ciò che vuoi essere,
perché hai solo una vita e una possibilità di far le cose che vuoi fare.
Puoi avere abbastanza felicità da renderti dolce,
difficoltà a sufficienza da renderti forte,
dolore abbastanza da renderti umano,
speranza sufficiente a renderti felice.
Mettiti sempre nei panni degli altri.
Se ti senti stretto, probabilmente anche loro si sentono così.
Le più felici delle persone non necessariamente hanno il meglio di ogni cosa,
soltanto traggono il meglio da ogni cosa che capita sul loro cammino.
La felicità è ingannevole per quelli che piangono, quelli che fanno male, quelli che hanno provato,
solo così possono apprezzare l'importanza delle persone che hanno toccato le loro vite.
Il miglior futuro è basato sul passato dimenticato,
non puoi andare bene nella vita prima di lasciare andare i tuoi fallimenti passati e i tuoi dolori.
Quando sei nato stavi piangendo e tutti intorno a te sorridevano.
Vivi la tua vita in modo che quando morirai tu sorrida.
Alla fine non ricorderemo le parole dei nostri nemici, ma i silenzi dei nostri amici.

(Martin Luther King)

giovedì, luglio 13, 2006

mio marito

Tormentando il manico della borsetta, una donna diceva:

"So che mio marito sa essere tenero e affettuoso. Con il cane si comporta così".

 

Bruno Ferrero

mercoledì, luglio 12, 2006

Umiltà

Io sono il piccolo di una volta, io sono colui che viene dai campi, io sono la pura e povera polvere; su questa polvere il Signore ha scritto la dignità episcopale dell'illustre diocesi di Vittorio Veneto. Se qualche cosa mai di bene salterà fuori da tutto questo, sia ben chiaro fin da adesso: è solo frutto della bontà, della grazia, della misericordia del Signore.
(Papa Lucani - Discorso a Canale d'Agordo dopo la consacrazione vescovile, 6 gennaio 1959)

martedì, luglio 11, 2006

Ricchezza e povertà

Gli Africani non hanno una parola per il concetto di "povertà" contrapposta a "ricchezza"; tutt'al più può essere intesa come "assenza di amici": ecco, questa sì che, per gli Africani, è la vera povertà!

 

Renato Kizito Sesana  ( missionario comboniano)

lunedì, luglio 10, 2006

Ogni mattina

Ogni mattina Dio ci offre una giornata, che ha preparato per noi: non c'è niente di troppo e niente che non sia abbastanza, niente di indifferente e niente di inutile.             Sr. Magdeleine

venerdì, luglio 07, 2006

Quello che...

Quello che ci siamo sentiti dire da bambini:
stai fermo, muoviti, fai piano, sbrigati, non toccare, stai attento, mangia tutto, lavati i denti, non ti sporcare, ti sei sporcato, stai zitto, parla t'ho detto, chiedi scusa, saluta, vieni qui, non starmi sempre intorno, vai a giocare, non disturbare, non correre, non sudare, attento che cadi, te l'avevo detto che cadevi, peggio per te, non stai mai attento, non sei capace, sei troppo piccolo, lo faccio io, ormai sei grande, vai a letto, alzati, farai tardi, ho da fare, gioca per conto tuo, copriti, non stare al sole, sta al sole, non si parla con la bocca piena.
Quello che avremmo voluto sentirci dire da bambini:
ti amo, sei bello, sono felice di averti, parliamo un po' di te, troviamo un po' di tempo per noi, come ti senti, sei triste, hai paura, perché non hai voglia, sei dolce, sei morbido e soffice, sei tenero, raccontami, che cosa hai provato, sei felice, mi piace quando ridi, puoi piangere se vuoi, sei scontento, cosa ti fa soffrire, che cosa ti ha fatto arrabbiare, puoi dire tutto quello che vuoi, ho fiducia in te, mi piaci, io ti piaccio, quanto non ti piaccio, ti ascolto, sei innamorato, cosa ne pensi, mi piace stare con te, ho voglia di parlarti, ho voglia di ascoltarti quando ti senti più infelice, mi piaci come sei, è bello stare insieme, dimmi se ho sbagliato.
Ci sono accanto a te molte persone adulte che ancora aspettano le parole che avrebbero voluto sentire da bambini.

 

Bruno Ferrero

giovedì, luglio 06, 2006

Se...

Se ti accusassero di essere cristiano,
troverebbero delle prove contro di te?

(Dietrich Bonhoeffer)

mercoledì, luglio 05, 2006

Quella parte di me

"Quella parte di me,

la più profonda

e la più ricca

in cui riposo,

è ciò che io chiamo Dio"

(Etty Hillesum)

martedì, luglio 04, 2006

Vecchio incredulo che se ne intende

"Date retta a me, vecchio incredulo che se ne intende: il capolavoro della propaganda anti-cristiana è l'essere riusciti a creare nei cristiani, nei cattolici soprattutto, una cattiva coscienza, a instillargli l'imbarazzo, quando non la vergogna, per la loro storia. A furia di insistere dalla Riforma fino ad oggi, ce l'hanno fatta a convincervi di essere i responsabili di tutti o quasi tutti i mali del mondo. Vi hanno paralizzati nell'autocritica masochista, per neutralizzare le critiche di ciò che ha preso il vostro posto. Femministe, omosessuali, terzomondisti, esponenti di tutte le minoranze, contestatori e scontenti di ogni risma, scienziati, umanisti, filosofi, ecologisti, animalisti, moralisti laici: da tutti vi siete lasciati presentare il conto, spesso truccato, senza quasi discutere. Non c'è problema, o errore, o sofferenza della storia che non vi siano addebitati. E voi, così spesso ignoranti del vostro passato, avete finito per crederci, magari per dar loro man forte. Invece io (agnostico, ma storico che cerca di essere oggettivo) vi dico che dovete reagire, in nome della verità. Spesso, infatti, non è vero. E se talvolta del vero c'è, è anche vero che, in un bilancio di venti secoli di Cristianesimo, le luci prevalgono di gran lunga sulle ombre. Ma poi: perché non chiedete a vostra volta il conto a chi lo presenta a voi? Sono forse stati migliori i risultati di ciò che è avvenuto dopo? Da quali pulpiti ascoltate, contriti, certe prediche?"

Leo Moulin, storico.

lunedì, luglio 03, 2006

VERGINE E UMILE

In questa città «fu dunque mandato da Dio l'angelo Gabriele».
A chi? «Ad una vergine promessa ad un uomo di nome Giuseppe».
Chi è questa Vergine tanto degna di venerazione da essere salutata da un angelo, e tanto umile da essere stata promessa ad un artigiano? E' bella questa unione di verginità e di umiltà, e a Dio è molto cara quell'anima in cui l'umiltà rende preziosa la verginità e la verginità rende bella l'umiltà.
Tu senti parlare di una ragazza al contempo vergine e umile: se non puoi imitare la verginità dell'umile, imita l'umiltà della vergine. La verginità è una virtù degna di lode, ma l'umiltà è più necessaria. Quella viene consigliata, questa è richiesta. A quella sei invitato, a questa obbligato. Di quella si dice: «Chi può intendere intenda»; e di questa: «Se uno non diventerà come questo bambino, non entrerà nel regno dei cieli». Perciò quella è premiata, questa - l'umiltà - è esigita. Puoi salvarti senza la verginità, non lo puoi senza l'umiltà.
L'umiltà può piacere quando piange la verginità perduta; ma senza umiltà, oso dire che a Dio non sarebbe piaciuta neppure la verginità di Maria. «Su chi riposerà il mio Spirito, egli dice, se non sopra chi è umile e inerme?» Sopra chi è umile - ha detto -, non sopra chi è vergine. Se Maria non fosse umile, lo Spirito Santo non avrebbe riposato su di lei. Se non avesse riposato su di lei, non l'avrebbe fecondata. E' perciò evidente, che, perché concepisse dallo Spirito Santo, Dio «guardò l'umiltà della sua serva» come ella stessa disse, piuttosto che la sua verginità.
E se piacque per la sua verginità, tuttavia la Vergine ha concepito per la sua umiltà.
Si deve concludere: è l'umiltà senza dubbio ad aver reso possibile che anche la verginità piacesse a Dio.

(Da: In laudibus Virginis Matri – Bernardo di Chiaravalle, dottore della Chiesa, 1091-1153)

venerdì, giugno 30, 2006

Chi sono?

Chi sono? Spesso mi dicono
che parlo a chi mi sorveglia
con libertà, affabilità e chiarezza
come spettasse a me di comandare.

Chi sono? Anche mi dicono
che sopporto i giorni infelici
imperturbabile, sorridente e fiero
come chi e' avvezzo alla vittoria.

Sono io veramente ciò che gli altri dicono di me?
O sono soltanto ciò che io stesso conosco di me?
Inquieto, pieno di nostalgia, malato come uccello in gabbia,
bramoso di aria come mi strangolassero alla gola,
affamato di colori, di fiori, di voci d'uccelli,
assetato di parole buone, di umana compagnia,
tremante di collera davanti all'arbitrio e all'offesa più meschina,
agitato per l'attesa di grandi cose,
preoccupato e impotente per gli amici infinitamente lontani,
stanco e vuoto nel pregare, nel pensare, nel creare,
spossato e pronto a prendere congedo da ogni cosa?

Chi sono? Questo sono o sono quello?
Sono oggi uno, domani un altro?
Sono io l'un l'altro insieme? Davanti agli uomini un simulatore
e davanti a me uno spregevole, querulo vigliacco?
O ciò che ancora io sono somiglia all'esercito sconfitto
Che si ritrae in disordine davanti alla vittoria già conquistata?

Chi sono? Porre domande così da soli è a scherno mio.
Chiunque io sia, tu mi conosci, tuo io sono, o Dio!

Dietrich Bonhoeffer

giovedì, giugno 29, 2006

Il fascino delle possibilità infinite

Il fascino delle possibilità infinite distoglie per natura sua dalla scelta limitante e impegnativa, e alletta proprio col miraggio dell'eterna novità: cambia canale, cambia sito su internet, cambia look, cambia macchina, cambia religione, cambia identità, cambia donna, cambia marito, perché tutto ti è possibile, non ti limitare... e il delirio d'onnipotenza si sposa così con l'inconcludenza esistenziale, con l'incapacità di fare scelte mirate e stabili.

Amedeo Cencini ("Vangelo giovane" ed. Rogate).

mercoledì, giugno 28, 2006

NON POSSO

È una parola che pronunciamo con troppa leggerezza. È una parola micidiale. È una parola che spesso liquida i problemi senza lasciarceli neppure affrontare. È una parola che molto spesso uccide la nostra carità. Ci siamo tanto abituati a queste due parole che le portiamo in noi costantemente.
È un cliché preparato al nostro egoismo. Quando è che in realtà "non possiamo"? Se non possiamo fare noi, possiamo almeno trovare chi farà per noi. Se non possiamo fare oggi, possiamo fare domani. Se non possiamo fare tutto, possiamo almeno fare qualcosa. È tremendo dire: "non posso"! È una ghigliottina della carità cristiana. Bisogna bandire quelle parole. Quando non posso veramente, posso almeno calarmi nel bisogno del fratello e versare una lacrima con lui.

(Monaco nel mondo)

martedì, giugno 27, 2006

Pennello

Avete il pennello, avete i colori, dipingete l'inferno, fate pure, dipingetelo, ma poi non date la colpa ai vostri genitori, non date la colpa alla società... e per amor del cielo, non date la colpa a Dio... Assumetevi la piena responsabilità di aver creato il vostro inferno.

Nikos Kazantzakis

Pensieri e Parole N.9

Esistono persone che all'ultimo momento si preoccupano di mettere in salvo aspirapolveri, forchette e cucchiai d'argento, invece di salvare te, mio Dio. E altre persone che sono ridotte a ricettacoli di innumerevoli paure e amarezze, vogliono a tutti i costi salvare il proprio corpo. Dicono: me non mi prenderanno. Dimenticano che non si può essere nelle grinfie di nessun se si è nelle tue braccia.
(Etty Hillesum)

venerdì, giugno 23, 2006

Dialogo sulla vita

L’Espresso – 27 aprile 2006

dialogo sulla vita

Colloquio tra il cardinale Carlo Maria Martini, teologo e biblista, già arcivescovo di Milano e ora ritiratosi a Gerusalemme; e il professor Ignazio Marino, direttore del Centro trapianti del Jefferson Medical College di Philadelphia, eletto al Senato nella lista dei DS.

Carlo Maria Martini: «Caro professor Marino, ho letto con molto interesse e partecipazione il suo libro “Credere e curare”. Mi ha colpito da una parte il suo amore per la professione medica e il suo interesse dominante per il malato e dall’altra la sua obiettività di giudizio, il suo equilibrio nel trattare problemi di frontiera, là dove le esigenze mediche si incontrano e talora sembrano scontrarsi con le esigenze etiche. Ho visto come lei non vuole rinunciare né alla sua oggettività professionale di medico né alla sua coscienza di uomo e anche di credente. Tutto ciò mi pare molto importante per quel “dialogo sulla vita” che interessa giustamente tanto i nostri contemporanei, soprattutto per quei casi limite in cui gli ardimenti della scienza e della tecnica destano da una parte meraviglia e gratitudine e dall’altra suscitano preoccupazione per la specie umana e la sua dignità.
Tutto questo rende necessario e urgente un “dialogo sulla vita” che non parta da preconcetti o da posizioni pregiudiziali ma sia aperto e libero e nello stesso tempo rispettoso e responsabile». Ignazio Marino: «Vedo anch’io molte ragioni per un dialogo oggettivo, approfondito e sincero sul tema della vita umana. Viviamo infatti un momento storico particolare in cui il progresso scientifico ha rivoluzionato la posizione dell’essere umano nei confronti della vita, della malattia e della morte. Oggi, diversamente da ieri, si può nascere in molti modi diversi, si può essere curati con terapie straordinarie e mantenuti per lungo tempo, in un reparto di rianimazione, in uno stato che può essere chiamato “vita” semplicemente dal punto di vista delle funzioni fisiologiche. La morte è sempre più considerata come un evento eccezionale da evitare e non il naturale traguardo a cui giunge inevitabilmente ogni vita umana. Questi cambiamenti influenzano non solo il corso della nostra esistenza ma anche il modo di concepire la vita, la malattia e la morte. Per questo non è possibile ignorare gli innumerevoli quesiti etici che emergono dai Continui cambiamenti legati alle nuove tecnologie e alle possibilità che la scienza mette a disposizione degli uomini. Il dialogo su questi temi e il confronto tra uomini di diversa formazione e con differenti ruoli all’interno della società può contribuire alla circolazione di idee e posizioni volte ad individuare punti di incontro e non di divisione.
Su temi così delicati, infatti, il rischio è di cadere in facili contrapposizioni e strumentalizzazioni che non portano alcun vantaggio se non quello di creare fratture nella società. Invece, se il ragionamento viene condotto onestamente e con spirito di sincera apertura, è possibile individuare percorsi comuni o per lo meno non troppo divergenti». L’inizio della vita Martini: «Sono pienamente d’accordo sulle sue premesse. Là dove per il progresso della scienza e della tecnica si creano zone di frontiera o zone grigie, dove non è subito evidente quale sia il vero bene dell’uomo e della donna, sia di questo singolo sia dell’umanità intera, è buona regola astenersi anzitutto dal giudicare frettolosamente e poi discutere con serenità, così da non creare inutili divisioni. Penso che potremmo iniziare qualche esperimento di un simile dialogo partendo dall’inizio della vita e in particolare da quella prassi, oggi sempre più comune, che si chiama “fecondazione medicalmente assistita” e alla sorte degli embrioni che vengono utilizzati a questo scopo. Su ciò vi sono non poche divergenze di pareri e anche incertezze di vocabolario e di prassi. Vuole chiarire un poco questo punto, sulla base della sua competenza?». Marino: «Oggi è possibile creare una vita in provetta, ricorrendo alla fecondazione artificiale. In presenza di problemi di fertilità all’interno di una coppia, la fecondazione artificiale può servire allo scopo di completare una famiglia con un figlio. Tuttavia, questa pratica si è diffusa in Italia e in molti altri paesi del mondo senza una regolamentazione prevista dalla legge. La scienza e le sue applicazioni mediche hanno camminato più rapidamente dei legislatori e, per questo motivo, ora ci troviamo ad affrontare il problema di migliaia di embrioni umani congelati e conservati nei frigoriferi delle cliniche per l’infertilità, senza che si sia deciso quale dovrà essere il loro destino. L’attuale legge italiana, per evitare di perpetuare la produzione di embrioni di riserva che non vengono utilizzati, ha scelto una via semplicistica: crearne solo tre alla volta e impiantarli tutti nell’utero della donna. Ma questo numero, se si ragiona su base scientifica, dovrebbe essere flessibile e determinato caso per caso, secondo le condizioni mediche della coppia.
Però, la scienza viene in aiuto per suggerire delle alternative alla creazione e al congelamento degli embrioni. Esistono delle tecniche più sofisticate di quelle utilizzate oggi, che prevedono il congelamento non dell’embrione ma dell’ovocita allo stadio dei due pronuclei, cioè nel momento in cui i due corredi cromosomici, quello femminile e quello maschile, sono ancora separati e non esiste ancora un nuovo Dna.
In questa fase non è possibile sapere che strada prenderanno le cellule nel momento in cui inizieranno a riprodursi: potrebbero dare origine ad un bambino come a due gemelli monozigoti. Non c’è l’embrione, non c’è un nuovo patrimonio genetico e quindi non c’è un nuovo individuo. Dal punto di vista biologico non c’è una nuova vita. Possiamo allora pensare che essa non ci sia nemmeno dal punto di vista spirituale e quindi che non esistano problemi nel valutare l’idea di seguire questa strada anche da parte di chi ha una fede?». Martini: « Capisco come questi fatti angustino molte persone, soprattutto quelle più sensibili ai problemi etici. E insieme sono convinto che i processi della vita, e quindi anche quelli della trasmissione della vita, formano un continuum in cui è difficile individuare i momenti di un vero e proprio salto di qualità. Questo fa sì che quando si tratta della vita umana, occorre un grande rispetto e un grande riserbo su tutto ciò che in qualche modo la manipola o la potrebbe strumentalizzare, fin dai suoi inizi. Ma ciò non vuol dire che non si possano individuare momenti in cui non appare ancora alcun segno di vita umana singolarmente definibile. Mi pare questo il caso che lei propone dell’ovocita allo stadio dei due protonuclei. In questo caso mi sembra che la regola generale del rispetto può coniugarsi con quel trattamento tecnico che lei suggerisce. Mi pare anche che quanto lei propone permetterebbe il superamento di quel rifiuto di ogni forma di fecondazione artificiale che è ancora presente in non pochi ambienti e che produce un doloroso divario tra la prassi ammessa comunemente dalla gente e anche sancita dalle leggi e l’atteggiamento almeno teorico di molti credenti. Ritengo comunque opportuna una distinzione tra fecondazione omologa e fecondazione eterologa. Ma mi sembra che un rifiuto radicale di ogni forma di fecondazione artificiale fosse basato soprattutto sui problema della sorte degli embrioni. Nella proposta che lei illustra tale problema potrebbe trovare un superamento. La fecondazione eterologa Marino: «Lei ha accennato anche alla distinzione tra fecondazione omologa ed eterologa. Il problema è molto discusso. Infatti, se il desiderio di una coppia di creare una famiglia non può essere compiuto a causa di problemi di infertilità o per la presenza di malattie genetiche in uno dei due potenziali genitori, perché non ricorrere al seme o all’ovocita di un individuo esterno alla coppia? Non potrebbe rappresentare una soluzione per riuscire ad andare incontro a quel desiderio di famiglia? Il patrimonio genetico conta comunque di più? Riflettendo su questo tema, la mia prima valutazione sarebbe in favore della fecondazione eterologa, se questa è l’unico mezzo per avere un figlio e se per la donna è importante avere una gravidanza. Però mi sono confrontato anche con chi sostiene che la fecondazione eterologa non di rado introduce un disequilibrio nella coppia tra il genitore biologico, che trasmette al figlio parte del proprio Dna e l’altro. Alcuni studi pubblicati su riviste scientifiche e condotti in paesi dove la fecondazione eterologa è ammessa, hanno evidenziato che si può effettivamente creare un nucleo familiare psicologicamente sbilanciato a favore del genitore che ha trasmesso al figlio una parte del proprio patrimonio genetico, come se in qualche modo un genitore valesse più dell’altro. Un’altra questione riguarda la trasparenza: il bambino che nasce da una fecondazione eterologa dovrebbe esserne informato? E, se la risposta è affermativa, è giusto seguire un percorso che può creare traumi psicologici, anche se nasce dal desiderio di avere un figlio? Vietare per legge il ricorso alla fecondazione eterologa significa limitare la libertà dei cittadini o va interpretata come una tutela per il futuro di chi verrà dopo di noi?». Martini: »Le obiezioni di natura psicologica che lei ha ricordato sono appunto tra i motivi che hanno bloccato non pochi sul fatto di procedere sulla via della fecondazione eterologa, anche se ciò può comportare sofferenze per alcuni. Si aggiunge dal punto di vista etico la protezione del rapporto privilegiato che col matrimonio si viene ad istituire tra un uomo e una donna. Personalmente tuttavia rifletto anche sulle situazioni che si vengono a creare con le varie forme di adozione e di affido, dove al di là del patrimonio genetico è possibile instaurare un vero rapporto affettivo ed educativo con chi non è genitore nel senso fisico del termine. Sarei dunque prudente nell’esprimermi su quei casi che lei ricorda, dove non è possibile ricorrere al seme o all’ovocita all’interno della coppia. Tanto più là dove si tratta di decidere della sorte di embrioni altrimenti destinati a perire e la cui inserzione nel seno di una donna anche single sembrerebbe preferibile alla pura e semplice distruzione. Mi pare che siamo in quelle zone grigie di cui parlavo sopra, in cui la probabilità maggiore sta ancora dalla parte del rifiuto della fecondazione eterologa, ma in cui non è forse opportuno ostentare una certezza che attende ancora conferme ed esperimenti».La ricerca sulle cellule staminali embrionali
Marino: I problemi connessi con gli embrioni hanno suscitato aspre discussioni anche sull’utilizzo a scopo di ricerca delle cellule staminali prelevate dagli embrioni stessi. Il referendum sulla procreazione medicalmente assistita del giugno 2005 chiedeva, tra le altre cose, di abrogare l’articolo della legge 40 in cui si vieta l’utilizzo di queste cellule staminali. Dal punto di vista scientifico è ipotizzabile, anche se non ancora confermato, che le cellule staminali embrionali siano le più adatte ai fini di ricerca, per individuare terapie per curare malattie molto gravi, dal morbo di Parkinson all’Alzheimer ecc. Esistono altri tipi di cellule staminali, prelevate da tessuti adulti o dal cordone ombelicale, che già oggi vengono utilizzate con qualche successo. Quasi tutti i ricercatori concordano sul fatto che non sia necessario creare embrioni con il solo scopo di prelevarne le cellule staminali: si possono infatti acquistare linee cellulari per condurre le
ricerche, e, inoltre, studi molto recenti condotti sui topi hanno dimostrato la possibilità di ottenere cellule che abbiano le stesse caratteristiche delle staminali embrionali senza dover creare degli embrioni. Resta in sospeso la questione che riguarda gli embrioni conservati nelle cliniche per l’infertilità e che con ogni probabilità non verranno mai utilizzati da nessuna coppia. La loro fine è certa, ma è meglio lasciarli morire nel freddo oppure utilizzare le preziose cellule per scopi di ricerca? In una visione di ortodossia religiosa, si tratta di vite e come tali non possono essere soppresse per prelevare le cellule a scopo terapeutico, anche se un giorno quegli embrioni saranno comunque distrutti. Si tratterebbe della diversità tra uccidere e il lasciar morire. Questo punto è eticamente superabile? Non è opportuno chiedere la donazione delle cellule staminali embrionali da destinare ai laboratori per sostenere la ricerca a favore di malattie oggi incurabili?».
Martini: «Innanzi tutto sono impressionato dalla prudenza con cui lei parla dell’efficacia terapeutica delle cellule staminali. Mi pare di capire che siamo ancora nel campo della ricerca e che quindi non è onesto propagandare certezze sull’efficacia curativa di queste cellule prima che ciò sia stato debitamente provato. Mi rallegro anche per il fatto che non è più ritenuto necessario creare degli embrioni con lo scopo di produrre le cellule staminali e che sono stati elaborati metodi alternativi che non pongono problemi alla coscienza. È un motivo in più per avere fiducia in quella intelligenza che il Signore ha dato all’uomo perché superi i problemi che la vita pone. E nel nome di questa stessa intelligenza che non vedo possibile pensare a una utilizzazione di cellule staminali embrionali per la ricerca. Ciò sarebbe contro tutti i principi esposti finora».
Gli embrioni congelati esistenti Marino: «La sua risposta mi permette di allargare la riflessione alla sorte degli embrioni esistenti anche aldilà di quanto sopra ipotizzato. Quando essi non vengono utilizzati, che cosa sarebbe etico fare? Attualmente non è stata individuata una soluzione, se non quella di abbandonare le provette nei congelatori. Ma è eticamente corretto ed accettabile tollerare che migliaia di embrioni umani restino congelati nelle cliniche per l’infertilità, attendendo semplicemente che si spengano nel freddo con il passare degli anni? Non potrebbero per esempio essere destinati a donne single che desiderano avere una gravidanza? Oppure a coppie con problemi legati a malattie genetiche che non possono ricorrere alla fecondazione artificiale normale per evitare il rischio di trasmissione del difetto genetico?». Martini: «Mi pare che qui siamo di fronte a un conflitto di valori, più evidente nel caso della donna single che desidera avere una gravidanza, ma esistente anche, per i motivi che ho detto sopra, per coppie che per gravi ragioni mediche non possono ricorrere alla fecondazione artificiale normale. Là dove c’è un conflitto di valori, mi parrebbe eticamente più significativo propendere per quella soluzione che permette a una vita di espandersi piuttosto che lasciarla morire. Ma comprendo che non tutti saranno di questo parere. Solamente vorrei evitare che ci si scontrasse sulla base di principi astratti e generali là dove invece siamo in una di quelle zone grigie dove è doveroso non entrare con giudizi apodittici Adozioni per single Marino: «Ci sono poi altri problemi, connessi allo sviluppo della vita, in particolare alla cura che la società deve avere per i bambini che non hanno una famiglia. In questi casi si apre la possibilità e l’utilità, anzi quasi la necessità di un’adozione. Oggi in Italia le adozioni non sono ammesse per i single e, più in generale, la legislazione è molto complessa e rende difficile ogni tipo di adozione. Mi chiedo se, dal punto di vista etico, sia preferibile che un bambino orfano o abbandonato dai genitori passi la vita in un istituto o sulla strada piuttosto che avere una famiglia composta da, un solo genitore? Siamo sicuri che sia questa la strada giusta per garantire la migliore crescita possibile a quel bambino? Del resto, se un genitore rimane vedovo, anche alla nascita del primo figlio, nessuno pensa che il bambino non debba continuare a vivere nel suo nucleo familiare anche se il genitore è solo uno. O ancora, la Chiesa sostiene che in presenza di un feto, in qualunque circostanza si debba invitare la donna a portare a termine la gravidanza, anche se il padre è assente o contrario, e quindi si tratterà di sostenere una madre che nei fatti sarà single. Perché allora non sostenere anche le adozioni per i single, una volta accertata la motivazione, i mezzi e le capacità del potenziale genitore di assicurare una crescita serena al bambino adottato?». Martini: «Lei si pone domande serie e ragionevoli su un tema complesso, sul quale non ho sufficiente esperienza. Ma penso che il punto di partenza è la condizione che lei esprime in chiusura. Occorre cioè assicurare che chi si prende cura del bambino adottato abbia le giuste motivazioni e abbia anche i mezzi e le capacità per assicurarne una crescita serena. Chi è in tale condizione? Certamente anzitutto una famiglia composta da un uomo e una donna che abbiano saggezza e maturità e che possano assicurare una serie di relazioni anche intrafamiliari atte a far crescere il bambino da tutti i punti di vista. In mancanza di ciò è chiaro che anche altre persone, al limite anche i single, potrebbero dare di fatto alcune garanzie essenziali. Non mi chiuderei perciò a una sola possibilità, ma lascerei ai responsabili di vedere quale è la migliore soluzione di fatto, qui e adesso, per questo bambino o bambina. Lo scopo è di assicurare il massimo di condizioni favorevoli concretamente possibili. Perciò, quando è data la possibilità di scegliere, occorre scegliere il meglio». Aborto Marino: «Uno dei temi più difficili da affrontare, su cui ci si interroga in continuazione proprio per la sua delicatezza e complessità, è l’aborto. In Italia, lo Stato ha regolato la materia, sforzandosi di coniugare il principio dell’autodeterminazione delle donne con la libertà di coscienza dei medici che possono scegliere l’obiezione. In questi anni in Italia abbiamo potuto constatare gli effetti della legislazione sull’aborto. Per quanto ciascuno di noi riconosca che l’aborto costituisce sempre una sconfitta, nessuno può negare che la legge ha permesso di ridurre il numero complessivo degli aborti e di tenere sotto controllo quelli clandestini, evitando di mettere a rischio la vita delle donne esposte a gravi disastri come le perforazioni dell’utero fatte dalle “mammane” per indurre l’aborto. Di fronte a casi estremi come una donna che ha subito una violenza, una gravidanza in un’adolescente di undici o dodici anni, una donna senza le possibilità economiche di allevare un bambino, come si pone la Chiesa? Se si ammette il principio della scelta del male minore e, come suggerisce la Chiesa cattolica, quello di affidare la risposta all’intimo della propria coscienza (conscientia perplexa: quella condizione in cui un uomo o una donna a volte si trovano ad affrontare situazioni che rendono incerto il giudizio morale e difficile la decisione), non sarebbe eticamente corretto spiegare apertamente questo punto di vista? E sostenerlo anche pubblicamente? ». Martini: «Il tema è molto doloroso e anche molto sofferto. Certamente bisogna anzitutto voler fare tutto quanto è possibile e ragionevole per difendere e salvare ogni vita umana. Ma ciò non toglie che si possa e si debba riflettere sulle situazioni molto complesse e diversificate che possono verificarsi e ragionare cercando in ogni cosa ciò che meglio e più concretamente serve a proteggere e promuovere la vita umana. Ma è importante riconoscere che la prosecuzione della vita umana fisica non è di per sé il principio primo e assoluto. Sopra di esso sta quello della dignità umana, dignità che nella visione cristiana e di molte religioni comporta una apertura alla vita eterna che Dio promette all’uomo. Possiamo dire che sta qui la definitiva dignità della persona. Anche chi non avesse questa fede, potrebbe però comprendere l’importanza di questo fondamento per i credenti e il bisogno comunque di avere delle ragioni di fondo per sostenere sempre e dovunque la dignità della persona umana. Le ragioni di fondo dei cristiani stanno nelle parole di Gesù, il quale affermava che “la vita vale più del cibo e il corpo più del vestito” (cfr Matteo 6,25), ma esortava non avere paura “di quelli che uccidono il corpo ma non hanno potere di uccidere l’anima” (cfr Mt 10,28). La vita fisica va dunque rispettata e difesa, ma non è il valore supremo e assoluto. Nel vangelo secondo Giovanni Gesù proclama: “Io sono la risurrezione e la vita: chi crede in me, anche se muore, vivrà” (Gv 6,25). E san Paolo aggiunge: “Io ritengo che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” (Rom 8, 18). V’è dunque una dignità dell’esistenza che non si limita alla sola vita fisica, ma guarda alla vita eterna. Ciò posto, mi sembra che anche su un tema doloroso come quello dell’aborto (che, come lei dice, rappresenta sempre una sconfitta) sia difficile che uno Stato moderno non intervenga almeno per impedire una situazione selvaggia e arbitraria. E mi sembra difficile che, in situazioni come le nostre, lo Stato non possa non porre una differenza tra atti punibili penalmente e atti che non è conveniente perseguire penalmente. Ciò non vuoi dire affatto “licenza di uccidere”, ma solo che lo Stato non si sente di intervenire in tutti i casi possibili, ma si sforza di diminuire gli aborti, di impedirli con tutti i mezzi soprattutto dopo qualche tempo dall’inizio della gravidanza, e si impegna a diminuire al possibile le cause dell’aborto e a esigere delle precauzioni perché la donna che decidesse comunque di compiere questo atto, in particolare nei tempi non punibili penalmente, non ne risulti gravemente danneggiata nel fisico fino al pericolo di morte. Ciò avviene in particolare, come lei ricorda, nel caso degli aborti clandestini, e quindi è tutto sommato positivo che la legge abbia contribuito a ridurli e tendenzialmente a eliminarli. Comprendo che in Italia, con l’esistenza del Servizio Sanitario Nazionale, ciò comporta una certa cooperazione delle strutture pubbliche all’aborto. Vedo tutta la difficoltà morale di questa situazione, ma non saprei al momento che cosa suggerire, perché probabilmente ogni soluzione che si volesse cercare comporterebbe degli aspetti negativi. Per questo l’aborto è sempre qualcosa di drammatico, che non può in nessun modo essere considerato come un rimedio per la sovrappopolazione, come mi pare avvenga in certi paesi del mondo. Naturalmente non intendo comprendere in questo giudizio anche quelle situazioni limite, dolorosissime anch’esse e forse rare, ma che possono presentarsi di fatto, in cui un feto minaccia gravemente la vita della madre. In questi e simili casi mi pare che la teologia morale da sempre ha sostenuto il principio della legittima difesa e del male minore, anche se si tratta di una realtà che mostra la drammaticità e la fragilità della condizione umana. Per questo la Chiesa ha anche dichiarato eroico ed esemplarmente evangelico il gesto di quelle donne che hanno scelto di evitare qualunque danno recato alla nuova vita che portano in seno, anche a costo di rimetterci la vita propria. Non riesco invece ad applicare tale principio della legittima difesa e/o del male minore agli altri casi estremi da lei ipotizzati, né mi avvarrei del principio della conscientia perplexa, che non so bene che cosa significa. Mi pare che anche nei casi in cui una donna non può, per diversi motivi, sostenere la cura del suo bambino, non devono mancare altre istanze che si offrono per allevarlo e curarlo. Ma in ogni caso ritengo che vada rispettata ogni persona che, magari dopo molta riflessione e sofferenza, in questi casi estremi segue la sua coscienza, anche se si decide per qualcosa che io non mi sento di approvare». Compensi per la donazione degli organi?
Marino: «C’è un argomento che mi tocca da vicino, dato che da più di venticinque anni mi occupo di trapianti di organo. Grazie ai trapianti oggi migliaia di persone, altrimenti destinate a morte certa, guariscono e conducono un’esistenza piena da tutti i punti di vista. Il limite principale ad una maggiore diffusione di questa terapia è legato all’insufficiente numero di donazioni e quindi di organi da trapiantare, e di conseguenza molte persone muoiono in lista d’attesa. Per aumentare il numero di donatori, in alcuni paesi e principalmente in Gran Bretagna, è stata avanzata l’ipotesi di stabilire un compenso per le famiglie che accettano di donare gli organi del proprio parente dopo la morte. Il dubbio è se sia eticamente corretto proporre vantaggi materiali o denaro in cambio della donazione degli organi. Si potrebbe in questo modo probabilmente aumentare il numero delle donazioni e dei trapianti e rispondere così alle esigenze dei malati che attendono in lista un organo che salverà loro la vita. Eppure questa ipotesi contiene in se il presupposto per un comportamento non equo. Non si rischia di instaurare una situazione in cui solo i meno abbienti, incentivati da un compenso, saranno disposti a donare gli organi mentre i più ricchi si limiteranno a riceverli? E la donazione, proprio in quanto tale, non dovrebbe sempre e solo basarsi sul principio dell’uguaglianza?». Martini: «Personalmente sento molto ciò che lei afferma in conclusione, cioè l’importanza dei principio dell’uguaglianza e i pericoli gravissimi di una ipotesi di retribuzione per gli organi. Mi pare che la strada è invece quella di propagandare il più possibile il principio della donazione e far crescere la coscienza collettiva su questo punto. C’è davvero da auspicare che non vi sia più chi muoia in lista d’attesa, mentre vi sono organi disponibili».
Marino: «La questione dell’uguaglianza ci porta direttamente ad interrogarci su problemi e malattie che affliggono milioni di persone in tutto il mondo, soprattutto nei paesi più poveri e svantaggiati per i quali l’idea di uguaglianza rimane un sogno molto lontano se non una mera utopia. Come non pensare subito all’Aids? Circa 42 milioni di persone nel mondo sono portatrici del virus dell’Hiv Nel solo 2005 secondo i dati riferiti dalle agenzie dell’ONU, 3 milioni di persone sono morte di Aids mentre si sono registrati 5 milioni di nuovi infetti. Il 60 per cento dei portatori del virus vive nei paesi più poveri dell’Africa Sub-Sahariana, con un’incidenza media nella popolazione tra il 5 e il 10 per cento e punte che arrivano sino al 25-30 per cento in alcuni paesi come il Botswana o lo Zimbabwe. L’Hiv è la piaga di un continente che genera non solo ammalati ma orfani, povertà, impossibilità di migliorare le condizioni di vita. Nel mondo occidentale, oggi il virus viene tenuto sotto controllo grazie ai progressi nelle terapie farmacologiche che permettono ad un sieropositivo di condurre un’esistenza del tutto normale, con un’aspettativa di vita paragonabile a quella delle persone non affette dal virus. Fino a pochi anni fa, il costo annuale per i farmaci di una persona sieropositiva si aggirava intorno a dieci mila euro, una cifra proibitiva che poteva essere sostenuta soltanto dai paesi dove era presente un sistema sanitario nazionale. Oggi i prezzi, in regime di concorrenza, hanno subito un crollo, fino ad attestarsi a metà 2003 su 700 euro per i farmaci di marca (prodotti dalle multinazionali farmaceutiche) e intorno a 200 euro per i generici di fabbricazione indiana, brasiliana e tailandese. Nonostante questi importanti passi avanti, in molti paesi africani la spesa pro-capite in sanità non supera i 10 dollari l’anno per cui, nei fatti, l’accesso ai farmaci e alle terapie per contrastare l’Aids è negato e il virus continua a diffondersi. Sappiamo che l’Aids si può in parte contrastare con la prevenzione e l’utilizzo dei profilattici. Come è accettabile non promuovere l’utilizzo del profilattico per contribuire a controllare la diffusione del virus? È o non è un dovere dei governi fare scelte e prendere decisioni su questo tema? E, rispetto alla dottrina ufficiale della Chiesa cattolica, non si tratterebbe comunque di optare per un male minore e contribuire alla salvezza di tante vite umane?».Martini: «Le cifre che lei cita destano smarrimento e desolazione. Nel nostro mondo occidentale è assai difficile rendersi conto di quanto si soffra in certe nazioni. Avendole visitate personalmente, sono stato testimone di questa sofferenza, sopportata per lo più con grande dignità e quasi in silenzio. Bisogna fare di tutto per contrastare l’Aids. Certamente l’uso del profilattico può costituire in certe situazioni un male minore. C’è poi la situazione particolare di sposi uno dei quali è affetto da Aids. Costui è obbligato a proteggere l’altro partner e questi pure deve potersi proteggere. Ma la questione è piuttosto se convenga che siano le autorità religiose a propagandare un tale mezzo di difesa, quasi ritenendo che gli altri mezzi moralmente sostenibili, compresa l’astinenza, vengano messi in secondo piano, mentre si rischia di promuovere un atteggiamento irresponsabile. Altro è dunque il principio del male minore, applicabile in tutti i casi previsti dalla dottrina etica, altro è il soggetto cui tocca esprimere tali cose pubblicamente. Credo che la prudenza e la considerazione delle diverse situazioni locali permetterà a ciascuno di contribuire efficacemente alla lotta contro l’Aids senza con questo favorire i comportamenti non responsabili».La fine della vita Martini: «Ma credo che è giunto il momento per il nostro dialogo di passare ad un’altra serie di problemi che riguardano la vita, e precisamente quelli che si riferiscono alla fine di essa. È necessario vivere con dignità, ma per questo morire anche con dignità. Ora, come lei sa, qui si pongono, soprattutto in Occidente, problemi molto gravi. Marino: «Lei pensa certamente anzitutto all’eutanasia, una parola attorno a cui si crea sempre molta confusione attribuendole diversi significati. Per questo preferisco non parlare in astratto, ma esprimermi in maniera molto concreta. Si può o no ammettere che una persona induca volontariamente la morte di un’altra, sebbene gravemente ammalata e in preda a dolori fisici devastanti, per alleviare questo dolore? Di fronte ad una situazione irreversibile in cui la morte è inevitabile, ritengo sia assolutamente necessaria la somministrazione di farmaci come la morfina, che alleviano il dolore e accompagnano il malato con maggiore tranquillità nel passaggio dalla vita alla morte. È quanto viene fatto, in queste drammatiche circostanze, in tutte le rianimazioni negli Stati Uniti. lo stesso, pur soffrendone perché un medico vorrebbe sempre poter salvare la vita dei suoi pazienti, lavorando negli Stati Uniti ho deciso diverse volte di sospendere tutte le terapie. È un momento doloroso per la famiglia e, le assicuro, anche per il medico ma è una onesta accettazione che non si può fare più nulla se non evitare di prolungare sofferenze inutili e lesive della dignità del paziente. L’Italia è ancora gravemente carente in proposito, in assenza di una legge che regolamenti la materia al punto che se io eseguissi lo stesso tipo di procedimento nel nostro paese potrei essere arrestato e condannato per omicidio, mentre si tratta solo di non accanirsi con terapie senza senso. Non sono invece d’accordo nel somministrare una sostanza velenosa per provocare l’arresto del cuore del malato e quindi indurre la morte. E, pur condannando il gesto, non sono tuttavia certo che si possa condannare la persona che lo compie. Faccio un esempio: in un recente film vincitore del premio Oscar, dal titolo “One Million Dollar Baby”, viene descritto il dramma di una donna ridotta in stato semivegetativo dopo un grave incidente sportivo, che chiede ad un uomo, il suo principale punto di riferimento nella vita, di aiutarla a porre fine alla sua sofferenza fisica e psicologica. L’uomo inizialmente rifiuta poi accetta perché ritiene che quello sia un atto d’amore estremo verso l’essere umano a cui si tiene di più. Pur non riuscendo a giustificare l’idea della soppressione di una vita, mi chiedo, in situazioni simili, come si può condannare il gesto di una persona che agisce su richiesta di un ammalato e per puro sentimento d’amore? E d’altra parte è lecito ammettere il principio di non condannare una persona che uccide?». Martini: «Sono d’accordo con lei che non si può mai approvare il gesto di chi induce la morte di altri, in particolare se è un medico, che ha come scopo la vita del malato e non la morte. Neppure io tuttavia vorrei condannare le persone che compiono un simile gesto su richiesta di una persona ridotta agli estremi e per puro sentimento di altruismo, come pure quelli che in condizioni fisiche e psichiche disastrose lo chiedono per sé. D’altra parte ritengo che è importante distinguere bene gli atti che arrecano vita da quelli che arrecano morte. Questi ultimi non possono mai esser approvati. Ritengo che su questo punto debba sempre prevalere quel sentimento profondo di fiducia fondamentale nella vita che, malgrado tutto, vede un senso in ogni momento dell’esistere umano, un senso che nessuna circostanza per quanto avversa può distruggere. So tuttavia che si può giungere a tentazioni di disperazione sul senso della vita e a ipotizzare il suicidio per sé o per altri, e perciò prego anzitutto per me e poi per gli altri perché il Signore protegga ciascuno di noi da queste terribili prove. In ogni caso è importantissimo lo star vicino ai malati gravi, soprattutto nello stato terminale e far sentire loro che si vuole loro bene e che la loro esistenza ha comunque un grande valore ed è aperta a una grande speranza. In questo anche un medico ha una sua importante missione». Accanimento terapeutico o Interruzione delle terapie Marino: «Connesso con questo tema è quello dell’accanimento terapeutico. La tecnologia attuale è in grado di mantenere in vita malati che fino a pochi anni fa non venivano nemmeno condotti in un reparto di rianimazione. Il progresso scientifico permette di prolungare artificialmente anche la vita di una persona che ha perso ogni speranza di ritrovare una condizione di salute accettabile. Per questo appare urgente affrontare il problema dell’interruzione delle terapie. Ogni forma di accanimento terapeutico andrebbe evitata perché contrasta con il rispetto della dignità umana. Per la Chiesa, la sospensione delle terapie viene considerata come accettazione di un fatto naturale, di non accanirsi più. Il Catechismo della Chiesa cattolica dice: “L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente”.
Esistono strumenti legali, come il testamento biologico, che permettono al singolo individuo di indicare con precisione, e in un momento di tranquillità emotiva, fino a che punto si desidera accettare il ricorso a terapie straordinarie. Il testamento biologico rappresenta uno strumento molto valido per aiutare il medico e la famiglia a prendere la decisione finale. Dovrebbe basarsi su regole flessibili e indicare anche una persona di fiducia in grado di interpretare le volontà di quell’individuo tenendo conto degli ulteriori progressi della scienza. Molti paesi lo hanno adottato con buoni risultati. In Italia un disegno di legge è stato presentato al Senato da molto tempo ma attende ancora di essere discusso. Non sarebbe il momento di avviare una riflessione seria e condivisa per introdurre al più presto anche nel nostro paese una legislazione in merito alla fine della vita, cioè a uno dei momenti più importanti della nostra esistenza?». Martini: «Il testo da lei citato del Catechismo della Chiesa cattolica mi pare esauriente al proposito. Se si volesse legiferare su questo punto è però importante che non si introducano aperture alla cosiddetta eutanasia di cui abbiamo parlato sopra. Per questo sono incerto anche sullo strumento del testamento biologico. Non ho studiato l’argomento e non saprei dare un parere decisivo. Ritengo con lei che una riflessione seria e condivisa sulla fine della vita potrebbe essere utile, purché sia appunto seria e condivisa e non si presti a speculazioni di parte e soprattutto non introduca in qualche modo aperture a quella decisione sulla propria morte che ripugna al senso profondo del bene della vita, come sopra si è detto». La scienza e il senso del limite Marino: «In conclusione, vorrei proporre una riflessione più generale. La conoscenza, il progresso scientifico, l’avanzamento tecnologico creano straordinarie opportunità di crescita per il nostro pianeta ma allo stesso tempo mettono nelle mani di ricercatori e scienziati un grande potere, legato al fatto di essere in grado di intervenire sui meccanismi che regolano l’inizio della vita e la sua fine. La scienza corre più veloce del resto della società e anche dei parlamenti, incaricati di fissare delle regole ma il più delle volte incapaci di intervenire tempestivamente. A mio modo di vedere andrebbe richiesta con fermezza un’assunzione di responsabilità da parte di ogni scienziato coinvolto in un campo della ricerca che interviene sull’essenza della vita, sulla sua creazione e sulla sua fine. Fermo restando che la valutazione razionale è indispensabile, l’arbitrio del ricercatore dovrebbe essere disciplinato anche dal senso di responsabilità bilanciato dalla valutazione dei rischi e delle conseguenze.
Non si tratta di appellarsi alla fede o alla religione ma di puntare su una presa di coscienza da parte di ogni scienziato. Questo non significa voler arrestare il progresso scientifico ma preservare e rispettare il nostro bene più prezioso, ovvero la vita. Ma la storia purtroppo ci insegna che l’appello alla responsabilità individuale a volte non basta. Per questo gli scienziati devono fornire ogni informazione utile e alla fine dovrebbero essere i parlamenti, o meglio le istituzioni sovranazionali, a fissare le regole sulla base del comune sentire dei cittadini». Martini: «Tutti siamo pieni di meraviglia e di stupore, e quindi anche grati a Dio, per il formidabile progresso scientifico e tecnologico di questi anni che permette e permetterà sempre più e meglio di provvedere alla salute della gente. Insieme siamo consci, come lei dice, del grande potere che è nelle mani di ricercatori e di scienziati e della ferma assunzione di responsabilità che deve permettere ad essi di ricercare sempre valutando i rischi e le conseguenze delle loro azioni. Esse devono sempre contribuire al bene della vita e mai al contrario. Per questo occorre anche talora sapersi fermare, non varcare il limite. Io sono inclinato a nutrire fiducia nel senso di responsabilità di questi uomini e vorrei che avessero quella libertà di ricerca e di proposta che permette l’avanzamento della scienza e della tecnica, rispettando insieme i parametri invalicabili della dignità di ogni esistenza umana. So anche che non si può fermare il progresso scientifico, ma lo si può aiutare ad essere sempre più responsabile. Come lei dice, non si tratta di appellarsi alla fede o alla religione, ma di puntare sul senso etico che ciascuno ha dentro di sé. Certamente anche leggi buone e tempestive possono aiutare, ma come lei afferma, la scienza corre oggi più veloce dei parlamenti. Si esige quindi un soprassalto di coscienza e un di più di buona volontà per far sì che l’uomo non divori l’uomo, ma lo serva e lo promuova. Anche le istituzioni sovranazionali debbono prender coscienza del pericolo che tutti corriamo e del bisogno di interventi tempestivi e responsabili. In tutta questa materia occorre che ciascuno faccia la sua parte: gli scienziati, i tecnici, le università e i centri di ricerca, i politici, i governi e i parlamenti, l’opinione pubblica e anche le chiese. Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, vorrei sottolineare soprattutto il suo compito formativo. Essa è chiamata a formare le coscienze, a insegnare il discernimento del meglio in ogni occasione, a dare le motivazioni profonde per le azioni buone. A mio avviso non serviranno tanto i divieti e i no, soprattutto se prematuri, anche se bisognerà qualche volta saperli dire. Ma servirà soprattutto una formazione della mente e del cuore a rispettare, amare e servire la dignità della persona in ogni sua manifestazione, con la certezza che ogni essere umano è destinato a partecipare alla pienezza della vita divina e che questo può richiedere anche sacrifici e rinunce. Non si tratta di oscillare tra rigorismo e lassismo, ma di dare le motivazioni spirituali che inducono ad amare il prossimo come se stessi, anzi come Dio ci ha amato e anche a rispettare e ad amare il nostro corpo. Come afferma san Paolo, il corpo è per il Signore e il Signore è per il corpo. Il nostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in noi e che abbiamo da Dio: perciò non apparteniamo a noi stessi e siamo chiamati a glorificare Dio nel nostro corpo, cioè nella totalità della nostra esistenza su questa terra (cfr 1 Cor 6,13.19-20)».
a cura di Daniela Minerva