lunedì, giugno 06, 2011

Analisi

«Non cambia nulla: i poveri? Traditi»

Intervista a Oscar Rodriguez Maradiaga

 

«Obama? Una delusione. La guerra in Libia? Si stanno commettendo gli stessi errori dell'lrak». Il cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa (Honduras), presidente della Caritas internazionale ed ex osservatore della Santa Sede al Fondo monetario internazionale e alla Banca mondiale, parla della crisi e delle rivolte arabe. «Il mondo non ha imparato nulla dalla lezione di Angelo Roncalli, della Mater et magistra e della Pacem in terris».
Dopo 50 anni, nessun miglioramento?

«Quante guerre abbiamo intrapreso? Quanti poveri abbiamo salvato dalla morte? I numeri sono tutti contro di noi. E non ci sono solo le differenze nell'accumulo della ricchezza e nella distribuzione delle risorse. Oggi sono spaventosamente squilibrate anche le opportunità tra i popoli».
La crisi non ha innovato politiche e idee?

«No. La globalizzazione non ha portato vantaggi e la crisi non ci ha fatto riflettere. Oggi il mondo è tornato a praticare la speculazione finanziaria e lo fa con la stessa frenesia di prima. È una speculazione senza limiti, coinvolge cibo e acqua, beni primari che dovrebbero essere difesi dalle autorità internazionali. La lezione di Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo Il non è stata accolta. Preferiamo scommettere sulla precarietà, che riempie le tasche di pochi».
Cosa manca, eminenza?
«Un progetto politico mondiale per lo sviluppo, che i Pontefici chiedono da 50 anni. Basta prendere le encicliche.
È già tutto scritto. Benedetto XVI lo ha spiegato nella Caritas in ventate, riproponendo la stupenda analisi della Populorum progressio di Paolo VI».
E chi lo porrebbe fare?
«Qui sta il punto. Mancano leader. Nella maggior parte dei Paesi non si può votare per il migliore, ma per il meno peggio. Si costruiscono politiche alla luce del "si salvi chi può". E di solito si salvano i ricchi».
E Barack Obama?
«Per me è un fallimento. Ha proposto visioni interessanti, ma non è riuscito a costruire alcuna politica alternativa».
Qualche esempio?
«Il narcotraffico. In campagna elettorale era uno dei temi principali. Ma poi è diventato solo un problema di sicurezza interna. Oggi nell'America centromeridionale assistiamo alla vittoria della narcopolitica. Il Messico è controllato dai cartelli della droga, il narcotraffico orienta molte economie e sposta capitali enormi. Ma la questione è sparita dall'agenda del mondo e del Governo americano. La stessa cosa vale per l'immigrazione. L'unica preoccupazione è proteggere le frontiere e lasciare interi popoli alla deriva».
Obama non s'è meritato il Nobel per la pace?

«Tutti speravamo che quel Nobel preventivo inducesse la Casa Bianca a cambiare molte sue politiche. Non è stato così. Secondo me, comunque, quel Nobel è stato un errore: non dimentichiamo che gli Usa hanno iniziato due guerre in questo primo scorcio del terzo Millennio. E sono passati solo 11 anni».
Adesso si
combatte in Libia e le tensioni percorrono il mondo arabo...
«Le piazze arabe pongono questioni serie. È una svolta epocale, come fu quella del '68. Quando chi non ha voce decide di riprendersela, quando chi non ha libertà decide che è il bene più importante, non si può stare a guardare. Siamo stati tutti presi alla sprovvista, ma non possiamo evitare di aiutare chi chiede libertà e democrazia».
L'Occidente sembra temere le rivolte per paura del fondamentalismo islamico...
«L'Occidente ha paura, è inutile negarlo. E tende a imporre la propria democrazia, che non è l'unica. Invece occorrono pazienza e dialogo. Per quanto riguarda il fondamentalismo islamico, non credo che ci siano rischi. Nelle piazze arabe ci sono giovani che vogliono costruire società libere e democratiche. Nessuna repressione li fermerà. E se l'Occidente non si libera dalla paura dell'islam, il risultato sarà il suo indebolimento».
Chi rischia di più?
«L'Europa. Se le paure di un'invasione islamica non vengono superate, se non si cambiano le politiche che tendono solo a respingere, l'Europa diventerà un soggetto debole».
Dove siamo arrivati?
«A un punto motto rischioso. Ogni Paese europeo si occupa ormai solo del proprio ristretto orizzonte. E questo è un pericolo».
Vale anche per la Libia, dove si spara?
«Sì. In ordine sparso si è costituita una coalizione dei "volonterosi", che non è assolutamente una coalizione. Ognuno ha i suoi interessi, ma nessuno lo ammette. Gli Stati Uniti hanno avuto buon gioco a coordinare tutta la faccenda, anche perché sanno fare le guerre. Il problema è il "dopo", argomento che nessun Paese, e soprattutto gli Usa, mettono in agenda prima di iniziare un conflitto. La Libia è un Paese difficile e complesso; il problema non è Gheddafi, che ha già perso, ma quello che verrà. Se l'Occidente "volonteroso" imporrà in Libia la propria democrazia, sarà un disastro come in Irak».
La scomparsa di Osama Bin Laden può avere risvolti positivi?
«Il terrorismo internazionale non sparisce con la morte di Osama e ha cause molto più complesse che la follia di un uomo solo».
Cosa bisogna fare per migliorare i rapporti internazionali?
«Riformare finalmente le Nazioni Unite. Oggi l'Onu sembra che esista soltanto per far pressione sui Governi per approvare leggi sull'aborto o sui matrimoni gay. Lo stesso impegno non lo vedo contro il narcotraffico, la povertà, gli obiettivi del Millennio, che sono spariti da qualsiasi discussione. Il Consiglio di sicurezza non è il Governo mondiale, anche se approva "guerre umanitarie", come per la Libia. Va riformato, abolendo il diritto di veto esercitato solo quando accade qualcosa che non conviene a uno o più dei cinque Paesi membri permanenti. Che, però, non sono i padroni del mondo».
Alberto Bobbio  - Famiglia Cristiana n° 22, 29 maggio 2011

 

 

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