martedì, agosto 08, 2023

La canzone che siamo

Cinquanta anni fa Bob Dylan compone una canzone, quasi un inno religioso, intitolata Forever Young, scritta inizialmente come ninna-nanna per il figlio più grande, Jesse, in cui gli augura alcune belle fortune e chiude con questa preghiera: May your song always be sung ("Possa la tua canzone essere sempre cantata"). Non è un tema nuovo, è l'idea che ogni essere umano abbia una canzone, anzi sia una canzone che prima, durante e dopo l'esistenza, viene cantata. In quello strano posto ricco di tante cose che è la Rete si può trovare un post che parla di quello che accade nella tribù Himba della Namibia, nell'Africa meridionale, quando una donna decide di avere un figlio: la donna esce dal villaggio, si sistema e si riposa sotto un albero, e ascolta finché non sente il canto del bambino che vuole nascere. E dopo aver sentito il canto di questo bambino, torna dall'uomo che sarà il padre del bambino per insegnargli quel canto. E poi, quando fanno l'amore per concepire fisicamente il bambino, cantano la sua canzone, per invitarlo. Quando la madre è incinta, insegna questo canto alle levatrici e alle anziane del villaggio. Così, quando nasce il bambino, le vecchiette e le persone intorno a lui cantano la sua canzone per dargli il benvenuto. Man mano che il fanciullo cresce, gli altri abitanti del villaggio imparano la sua canzone. Quindi se il bambino cade, o si fa male, trova sempre qualcuno che lo rialzi e gli canti la sua canzone. Allo stesso modo, se fa qualcosa di meraviglioso, o passa con successo attraverso i riti di passaggio, la gente del villaggio canta la sua canzone per onorarlo. Non solo onori, ci sono anche le ombre. Anche lì serve la canzone. Se, in qualsiasi momento della sua vita, la persona commette un crimine o un atto sociale aberrante, l'individuo viene chiamato al centro del villaggio e le persone della comunità formano un cerchio intorno a lui. Poi cantano la sua canzone. La tribù riconosce che la correzione del comportamento antisociale non passa attraverso la punizione, ma attraverso l'amore e il ricordo dell'identità. Quando riconosci la tua canzone, non vuoi o non devi fare nulla che possa danneggiare l'altro. E infine, quando, invecchiando, quest'uomo giace nel suo letto, pronto a morire, tutti gli abitanti del villaggio conoscono la sua canzone e la cantano, per l'ultima volta. Viene in mente quel detto africano citato spesso dal Papa: per educare un bambino ci vuole un intero villaggio. L'educazione come fatto sociale. Come canto, secondo la saggezza Himba. La vita stessa come canzone. Come missione direbbe Papa Francesco, perché ogni uomo non solo ha, ma è, una missione. E il mondo si arricchisce della missione di ciascuno. Se un uomo diserta dalla propria missione, non corrispondendo alla sua vocazione (ed è facile smarrire la propria strada-missione-canzone), il mondo è più povero, come un coro senza quel timbro unico di voce, come un'orchestra senza quel particolare strumento, come una sinfonia senza una canzone. È bello, e sano, quindi tornare a cantare le ninne-nanne: sono molto di più di un modo per far addormentare i piccoli, sono al contrario un modo per svegliarli, invitarli e introdurli nel mondo, forti di un dono che li precede, li sostiene e proseguirà anche oltre la fine, perché ogni canzone deve always be sung.

Andrea Monda, L'Osservatore Romano, 28 luglio 2023

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