Il 2 novembre è il giorno di chi non lo sa. In questo giorno i cimiteri si riempiono di due tipi di visitatori; i credenti che vanno a trovare i propri defunti e quelli che non sanno perché sono lì. Ma ci sono. Si aggirano timidi, quasi spiazzati, in un luogo che offre loro il silenzio che improvvisamente imparano a riconoscere e a distinguere dal nulla. La visita di chi non sa come mai lo stia facendo è quella che più mi colpisce, quando la testa si fa un riposino ed è il sangue a prendere il volante. Una madre ti chiama dalle vene. «Lì c'è mia madre» ha detto un uomo lo scorso anno a pochi passi da me. Era da solo. Avete mai sentito un uomo indicare a sé stesso la propria madre? Trovarla. Ci vanno per «convenzione» si dice. E se anche fosse? Basta sostituire la parola "convenzione" con "ricorrenza" e avrete immediatamente l'idea di un appuntamento disertato per anni, forse per una vita intera, al quale all'improvviso decidiamo di presentarci. Nessuno vi chiederà conto delle assenze passate, i morti adorano i ritardatari, lasciate che si meraviglino di vedervi lì. «Che ci fai qua?» è la frase che li fa più felici pronunciare. La sentite la felicità dei morti? È quella che provano mentre prendete la vostra vita in mano, tra la fatica quotidiana e il baluginare dei sogni improvvisamente più vicini del previsto. Quando siete vivi in vita. Ma soprattutto la loro gioia sta in quei minuti nei quali vi vedono cercarli, orientandovi fra le indicazioni del cimitero e le fotografie sulle lapidi. Qualcuno sta cercando il loro nome, finché questo accadrà nessuno andrà perduto. Non vergognatevi di fare un tentativo, anche se non credete, tanto più che a fine mattina potrete sempre riconsegnare alla biologia le vostre ragioni. I morti non intendono convincervi, da padri e madri che sono il saluto col quale vi accoglieranno è sempre lo stesso: «E adesso come stai? Raccontami». Il 2 novembre può esser il primo giorno nel quale iniziate a raccontare loro quello che sanno già ma è dalla vostra voce, anche quella trattenuta nel petto, che vogliono sentirla quella storia. Risponderanno. Lasciate che con le loro fotografie strambe e in pose improbabili vincano le ragioni del tempo con gli argomenti dell'infinito. Che quegli sguardi sbruffoni, rubati, distratti incontrino il vostro, che quelle foto non siano ricordi bensì porte. Accettate che anche i morti, nel silenzio di quei porticati, fra l'imprevisto sole di novembre e i ricordi, vi raggiungano con le loro faccende. Distinguete nel frastuono del silenzio quel sibilo di una madre che rovista in cucina, un padre fischiettare per le scale rientrando a casa o anche solo il borbottio di uno che nella vita sembrava sempre arrabbiato. Che anche loro abbiano un giorno per poter chiacchierare, confidare nel futuro e vedervi arrivare. Magari per mano a qualcuno. Cristiano Governa
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