Barbiana era un luogo così lontano da sembrare fuori dal mondo. Firenze, la bellissima città dei Medici, era a pochi chilometri da lì, ma quella Pieve era avvolta in un abbraccio di bosco che la proteggeva e la isolava, nello spazio e nel tempo.
L'inverno, poi, completava l'opera col suo manto di neve che veniva a gelare i piedi dei bambini e a chiudere ogni breccia verso l'esterno. Un figlio di quel mondo non pensava che fuori da Barbiana ci fosse qualcos'altro. Se pur c'era, restava irraggiungibile, non meno della luna. Un mondo di diversi, di ricchi, di signori, che i boscaioli conoscevano per sentito dire. Così il priore volle costruire una strada per raggiungere l'altrove. La scuola servì a demolire il muro di Barbiana e ad edificare un paese più vasto, dove Firenze entrasse sotto lo stesso cielo. I bambini impararono a misurarsi con altri bambini e a pensare di essere loro compagni.
Sedersi a un banco comune, significava voler appartenere a un mondo comune. Quella volta non fu il centro a raggiungere le periferie, ma il contrario: la periferia si portò verso il centro. Fu quella rustica gente di montagna a insegnare alla colta Firenze, la differenza tra avarizia e politica. Rosanna Virgili, Avvenire, 24 aprile 2016
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