Non siamo migliori di chi sbaglia.
Il clima di paura si vince solo se non consideriamo nemico chi ci è prossimo.
Ultimamente dalle nostre parti, e cioè le parti di tutti, appena metti il naso fuori casa rischi di incappare in almeno uno dei tanti «mostri bipedi» dei quali tv, politici preoccupati dell'ordine pubblico, sceriffi, ronde padane e chiacchiere di pianerottolo ci avvisano, per nostra fortuna. A quanto pare siamo circondati da nemici: per strada, agli incroci, davanti alle scuole, in casa e persino sotto il letto, lì dove il «babau» pensavamo di averlo sloggiato già da qualche anno ormai.
Statistiche, episodi cruenti di cronaca, il tuttologo di turno al talk show: tutto concorre a farci vivere nell'angoscia di una guerra strisciante, terribile perché diversa da tutte le altre. Perché il nemico non è oltre frontiera, magari pure con una divisa e una bandiera diversa dalle nostre, ma è... in mezzo a noi, tra di noi! Può essere chiunque, dato che nessuno gira con la nazionalità stampata in fronte, né possiamo chiedere a bruciapelo a qualsiasi passante che incrociamo per strada se si droga o milita in qualche haby gang.
Allora che fare? Mutandoni di lana contro il freddo e pistola sul comodino? E chi non vuole dubitare di tutti? E se fosse pensabile una strada alternativa, più responsabilizzante e più intelligente, persino più «dura», ma per lo meno più cristiana? Se «il loro problema» fossi io? Se evangelicamente, cioè, dovessi chiedermi non solo di chi io sia il prossimo (e non chi è il mio prossimo), ma anche di chi io sia il nemico (e, di nuovo, non chi è il mio nemico)? Si potrebbe provare a percorrere una simile strada...
Da parte mia ho cominciato con il dirmi che sono anch'io il rom che per sopravvivere rubacchia dove può e come può. Sono anch'io l'extracomunitario che farebbe di tutto, ma proprio tutto, per accedere al nostro bel sogno occidentale di benessere. Sono anch'io il piccolo bullo di periferia, in pantaloncini corti e lecca-lecca in bocca, ma che cerca di stare al passo con le aspettative sociali (la moda, la compagnia, gli adulti...). Sono anch'io il padre di famiglia, magari moralista e benpensante, cbe passa la sera tra le braccia di una prostituta (o amante) mentre moglie e figli guardano la tv, perché bisogna pur soddisfarla in qualche modo la propria sete d'amore. Sono anch'io il single che cerca di riempire la propria solitudine passando di avventura in avventura, senza guardare in faccia nessuno. Sono anch'io il ladro, lo stupratore, l'assassino, il genitore che abbandona il figlio, il marito che lascia la moglie perché le difficoltà sembrano montagne più alte dell'Everest, il politico che ruba. Sono io il fariseo che «giudica il fariseo perché giudica il pubblicano». Non giustifico né assolvo nessuno di questi atteggiamenti, sia chiaro, ma neppure li giudico. Perché che differenza c'è tra me e loro, tra il mio e il loro egoismo?. Che il mio, forse, è un p0' più elegante? Che cosa ne so davvero io di loro? Che cosa non ho ancora combinato nella vita, che non potrei commettere domani stesso? Quando smetterò di urlare «io», per sussurrare finalmente «tu» e «noi»?
E allora che cosa posso fare? Ho pensato che ho davanti un anno intero, un tempo favorevole per rimboccarmi le maniche, e per cominciare a convertire tutte queste persone che vivono in me. Per prendere sul serio quella parola di salvezza, la bella notizia di un Dio che mi ama così come sono. E amandomi mi càmbia la vita, la rimodella come farebbe un vasaio al tornio. Per rifarla più bella e più degna. Fabio Scarsato (Messaggero di Sant'Antonio – gennaio 2008)
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